I socialcomunisti sapevano bene, come lo sapevano i liberali di Giolitti o i socialisti di Turati 40-50 anni prima, che il voto femminile avrebbe giocato contro le loro aspirazioni di maggioranza, ben più di Yalta o Washington, la CIA o il Piano Marshall. Ma dopo tanto proclamare l’uguaglianza dei sessi in politica, come far marcia indietro?
In quell’Italia dolente, con ferite brucianti ancora aperte, ma con una gran voglia di ricostruire e reinventarsi, nonostante tutto, un futuro, il Fronte Popolare – con buona pace del povero Garibaldi la cui effige fu eletta a simbolo delle sinistre – aveva contro non un pugno di democristiani, talora degni, ma buoni soprattutto a tirarsi calci in sacrestia, ma lo stesso Pontefice, l’algido eppur popolare Pio XII, colui che non come figlio di un prìncipe romano (come la sinistra cercava di marchiarlo a fuoco nel clima della nuova Repubblica), ma come Capo della Chiesa Cattolica aveva riassunto nella sua fragile persona avvolta di bianco, nelle ore più buie del conflitto immane e del sanguinoso dopoguerra, il segno di un’autorità antica che era rimasta al suo posto e la speranza di ritrovare pace e futuro.
Lo diranno l’altissima affluenza ai seggi (il 92,23% per la Camera dei Deputati, il 92,15 % per il Senato) ed il responso delle urne.
Terminata l’esperienza al governo PCI e PSI decisero di fondare un’alleanza elettorale, presentando liste comuni: nacque così il Fronte Democratico Popolare. L’ala “destra” del PSI si unì al Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (nato dalla cosiddetta “scissione di Palazzo Barberini” nel 1947, promossa da Giuseppe Saragat) a formare la lista Unità Socialista, mentre liberali ed aderenti all’ “Uomo Qualunque” si unirono nel Blocco Nazionale. La contrapposizione tra DC e FDP creò un bipolarismo che rispecchiava la divisione politica internazionale: la Guerra Fredda e la divisione del mondo in sfere d’influenza ebbero una notevole ripercussione sulle elezioni. La Chiesa intervenne direttamente nella contesa con l’istituzione dei Comitati Civici, fondati da Luigi Gedda su stimolo del Pontefice. Fu un potente fattore di mobilitazione per i cattolici fino ad allora poco interessati alla dialettica politica. La mobilitazione fu ingente, come il proselitismo, come un’ampia letteratura, dalle cronache giornalistiche al cinema, avrebbero poi per decenni raccontato agli italiani. La Democrazia Cristiana si aggiudicò la maggioranza relativa dei voti (48,51%) e quella assoluta dei seggi, 305 su 574 alla Camera. Questo straordinario successo rese il partito di Alcide De Gasperi il punto di riferimento per l’elettorato moderato ed anticomunista, ed il principale partito italiano per quasi cinquant’anni, fino al suo scioglimento nel 1994. Netta fu la sconfitta del Fronte Democratico Popolare. Con appena il 30,98% dei voti il fronte della sinistra fu fortemente ridimensionato rispetto alle precedenti elezioni per la Costituente del 1946. La destra, divisa tra liberali, monarchici ed i neonati missini, ottenne risultati piuttosto mediocri perdendo consensi. Il MSI, guidato da Giorgio Almirante, ebbe alla Camera il 2,01%. (Da: https://it.wikipedia.org/wiki/Elezioni_politiche_italiane_del_1948).
Il sistema elettorale adottato era quello proporzionale classico, basato sul Decreto Legislativo Luogotenenziale n. 74 del 10 marzo 1946, concepito per gestire le elezioni dell’Assemblea Costituente del 2 giugno, contestualmente al Referendum Istituzionale; il sistema fu poi recepito come normativa elettorale con la Legge n. 6 del 20 gennaio 1948.
Diviso il territorio nazionale in 31 circoscrizioni plurinominali per la Camera dei Deputati (19 per il Senato), assegnatarie di un numero di seggi variabili a seconda della popolazione, era utilizzato il metodo dei divisori con quoziente Imperiali; determinato il numero di seggi guadagnati da ciascuna lista venivano proclamati eletti i candidati che, all’interno della stessa, avessero ottenuto il maggior numero di preferenze da parte degli elettori, i quali potevano esprimerne fino ad un massimo di quattro. I seggi ed i voti residuati venivano raggruppati quindi nel Collegio Unico Nazionale, all’interno del quale i seggi venivano assegnati sempre col metodo dei divisori, ma utilizzando il quoziente Hare, esaurendo il calcolo tramite il metodo dei resti più elevati. Il sistema elettorale ebbe qualche lieve correttivo maggioritario per la composizione del Senato di 237 membri.
La DC raccolse i maggiori consensi nel Meridione ed in buona parte del Settentrione, lasciando alle sinistre, come si ripeterà poi, per decenni, le cosiddette “Regioni Rosse”, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria e poche altre zone, come il Polesine ed il Mantovano.
Fu, in sintesi, la vittoria del “centrismo” contro ogni tentazione radicale, la voglia di un moderato e pragmatico progresso contro nostalgie del passato o attese palingenetiche di mutamenti rapidi e profondi. La vittoria dei parroci e delle mamme italiane, commenteranno in molti.
Il 18 aprile 1948 segna una svolta cruciale nella vita del Paese. Ebbe la meglio, ampiamente, l’adesione ad un sistema occidentale piuttosto che ad uno socialista. La Democrazia Cristiana ricevette altresì una sorta di legittimazione da parte dell’elettorato nel ruolo di tutela del sistema democratico parlamentare.
Le elezioni fissarono alcuni capisaldi della Repubblica che durarono fino agli anni ‘90: il pluralismo polarizzato che prevedeva una DC sempre vincente; l’esclusione dei comunisti del PCI da ogni governo; l’adesione dell’Italia al blocco occidentale; la marcata appartenenza ideologica in presenza di grandi partiti di massa; l’adesione a due concezioni della società; la scarsa mobilità elettorale; una mappa geopolitica che vedeva le sinistre forti, o discretamente forti, nel Centro-Nord, la DC nel Triveneto e le destre al Sud.
La funzione di “diga” nei confronti del pericolo comunista le rimase addosso fino al crollo del comunismo, alla fine degli anni ’80, che, più o meno paradossalmente, portò in pochi anni alla dissoluzione della DC stessa, travolta da divergenze interne non più ricomponibili, da errori e dalla presenza, Oltretevere, di un Papa polacco poco interessato alle vicende italiane. Contrariamente ai suoi predecessori italiani che, in qualche modo, erano stati i “veri segretari” della cosiddetta “Balena Bianca”, la quale, in nome della lotta al comunismo, incamerava componenti, da destra a sinistra, che condividevano l’obiettivo come scelta primaria, in analogia simbolica con il romanzo di Herman Melville, “Moby Dick”: la lotta mortale fra il capitano della baleniera ed una enorme balena bianca, che ingoiava tutto e di tutto per difendersi e sopravvivere.
* già ambasciatore d’Italia in El Salvador e Paraguay