Un ruggito squarcia il cielo sul vecchio Olympiastadion di Monaco di Baviera, ammutolendo in un solo colpo anche il vocio ed i cori dei tifosi, ormai abituati dal 1994 a pagare questo tributo di silenzio verso l’area di rigore del Bayern. E’ questo infatti il regno dove vige incontrastata la legge di Oliver Kahn, portiere della prima squadra di Monaco per ben quattordici anni costellati di vittorie.
Per lui parla il suo palmarès: otto campionati tedeschi, sei coppe di Germania, una Coppa UEFA una Coppa Intercontinentale e soprattutto una Champions League strappata in finale al Valencia durante la lotteria dei calci di rigore proprio grazie alle manone del gigante di Karlsruhe, che per ben tre volte riuscì ad ipnotizzare gli avversari dal dischetto. In Bundesliga ogni attaccante ha imparato a temere le sue urla ed i suoi nervi sempre tesi, come ricorderà bene Miroslav Klose, reo di aver contrastato un’uscita alta e rincorso a muso duro da Kahn. O Thomas Brdaric, letteralmente spaventato a morte a fine partita dalla presa sul suo collo delle mani non certo leggere di “der titan”, che candidamente si giustificò affermando che il calcio è uno sport da uomini. Le sfuriate del mitico Oliver non risparmiavano nemmeno i compagni di squadra, letteralmente strattonati ad ogni errore di copertura o disimpegno sbagliato.
Anche con la nazionale teutonica si dimostrò altrettanto decisivo, venendo addirittura premiato come miglior giocatore del mondiale 2002. In quell’occasione Oliver ebbe modo di esibirsi durante la fase a gironi in una serie di uscite kamikaze sui piedi di Robbie Keane e compagni nella gara pareggiata contro l’Irlanda, ripetendosi poi altrettanto bene con il Camerun. Ma fu nelle fasi ad eliminazione diretta che catturò definitivamente lo sguardo attonito del pubblico, disinnescando con voli plastici ogni conclusione scagliata verso la sua porta dagli attaccanti di Paraguay, USA e Corea del Sud.
Ma come i titani della mitologia greca, anche Kahn trovò uno Zeus capace di incatenarlo al suolo. Uno Zeus carioca che risponde al nome di Ronaldo, “O Fenomeno”, il solo capace di strappare dalle tenaglie del tedesco, fino allora perfette, il pallone della finale di Yokohama ed a depositarlo per ben due volte in fondo alla rete. E mai più nella storia del calcio probabilmente si riuscirà, come in quell’occasione, a toccare con mano la differenza tra un titano ed un dio.