Due libri stanno costringendo i lettori ad un confronto serrato con le intelligenze scomode del Novecento, ma anche del passato. Ci riferiamo ad Imperdonabili. Cento ritratti di maestri sconvenienti di Marcello Veneziani, edito da Marsilio (euro 20,00) e a I maledetti. Dalla parte sbagliata della storia, ultima fatica di Andrea Colombo, giornalista de La Stampa, nelle librerie per Lindau (euro 21,00). In Imperdonabili il noto saggista pugliese si confronta con i “suoi” autori, con tutti coloro con cui ha contratto un debito intellettuale. La maggior parte dei cento autori appartiene alla categoria spirituale ed esistenziale degli imperdonabili. Tra essi Cristina Campo, cui si deve il conio di tale termine. Essi sono “irregolari del pensiero e della scrittura[…]autori sconvenienti che non si accontentarono del loro tempo ma lo contraddissero” (pp. 9-10). Intelligenze pericolose, inattuali per coerenza, appartenenti ad una medesima, eterna comunità umana, quella dei liberi e persuasi, presente in ogni tempo ma dispersa nello spazio.
Veneziani muove dagli “antenati”, dai progenitori della cultura europea, da grandi nomi quali Petrarca, Dante, Machiavelli e Leopardi, per giungere fino a Nietzsche. Successivamente, individua e descrive, per “affinità elettive”, diverse famiglie di imperdonabili, tra i quali spiccano, certo, i grandi nomi del pensiero conservatore e/o reazionario, in particolare del Novecento, ma anche pensatori e scrittori volutamente impolitici e addirittura dell’altra sponda. L’autore, con consumata maestria stilistica e critica, attraversa la vita e le opere di Michelstaedter, Evola, Heidegger, de Benoist e Del Noce, solo per fare qualche nome tratto dalla “riva destra”, ma anche Wilde, Arendt, Gramsci, ed Adorno. Il libro è il diario dei viaggi compiuti dal saggista nel mondo delle idee, il cui spazio elettivo, ancora oggi è, fortunatamente, quello del libro. Veneziani presenta mondi diversi, accompagnato dallo sguardo critico, dall’ “occhio assoluto”, per dirla con l’imperdonabile Chatwin, che gli permette l’elaborazione di giudizi lucidi ed equilibrati, mai liquidatori o definitivi. L’obiettivo esplicito e prioritario perseguito nel volume è rendere grazie ad uomini eminenti, estranei per sensibilità spirituale, al loro tempo. I medaglioni della silloge sono “esercizi di ammirazione” cioraniani che, anche stilisticamente, rispondono alla grandezza degli scrittori discussi.
Dal punto di vista contenutistico, i ritratti “riflettono la sensibilità di un conservatore curioso, a tratti reazionario, che ama la Tradizione e pratica la ribellione, ama i maledetti in rivolta[…]e nel suo percorso spirituale insegue il sacro e il mito” (p. 11). Quello tracciato da Veneziani è, in senso prioritario, un elogio della civiltà della scrittura e della lettura, motivato dalla necessità, avvertita da ogni uomo degno di questo nome, di riconoscere la grandezza creativa per preservarla dall’oblio cui, nel tempo presente, pare destinata. Conclude il volume un significativo Post scriptum, dedicato agli uomini di pensiero che hanno inciso sulla formazione di Veneziani, non solo attraverso gli scritti, ma attraverso il contatto diretto e la frequenza quotidiana. L’autore fa rivivere personaggi fondamentali della “destra intellettuale” post-bellica, maestri di un’intera generazione: dall’editore Giovanni Volpe, a Piero Buscaroli, da Giano Accame ad Alfredo Cattabiani. Colpisce il ritratto di Fausto Gianfranceschi, centrato sul drammatico confronto che questi intrattenne con la morte. Gianfranceschi visse, a causa della lunga malattia e per la prematura scomparsa di due figli “una saggia lontananza dal mondo e insieme una partecipazione cordiale agli eventi che ne danno un senso e un destino. ‘Tornano le primavere ma io non fiorisco più’” (p. 495). Ecco, gli Imperdonabili di Veneziani, sono anche questo: pensatori capaci di propiziare il Nuovo inizio, il primo tempo eternamente ritornante, oltre il tramonto contemporaneo e quello, certamente meno rilevante, delle nostre vite.
Il libro di Colombo, I maledetti, presenta l’esperienza degli intellettuali che, tra le due guerre, scelsero di schierarsi politicamente dalla parte sbagliata, con i fascismi. L’autore traccia sedici ritratti dai quali è possibile evincere notizie significative sulla vita e sulle opere di uomini che, in molti casi, pagarono duramente le proprie scelte. E’ possibile, inoltrandosi nelle pagine del volume, la cui lettura risulta scorrevole, incontrare le sorti di due transilvani d’eccezione, Mircea Eliade ed Emil Cioran. Il primo, eminente storico delle religioni, in gioventù fu vicino alla Guardia di Ferro di Codreanu ma, nel percorso esistenziale ed accademico, cercò di celare il suo passato politico, oltre che la prossimità ideale al tradizionalismo integrale. La medesima situazione si trovò a vivere Cioran, che giunse a ripudiare uno dei suoi primi lavori letterari, La trasfigurazione della Romania, dal quale era possibile comprendere la prossimità al Guardismo ed il convinto antisemitismo dell’autore. Posizioni poco conciliabili con lo scetticismo nichilista, cui questi pervenne nel suo lungo esilio parigino nel dopoguerra.
Colombo ricostruisce anche le vicende che portarono due grandi filosofi del Novecento ad aderire rispettivamente al nazismo e al fascismo. Ci riferiamo, innanzitutto, ad Heidegger e alla sua assunzione del Rettorato all’Università di Friburgo nel 1933, durata peraltro pochi mesi, ma che segnò il “destino tedesco” del pensatore, per l’ostracismo decretato nei suoi confronti e della sua opera dal “politicamente corretto”. Ostracismo tuttora perdurante e periodicamente ritornante. Più crudele la sorte cui andò incontro Gentile: assassinato dai partigiani per essere stato il “filosofo del regime” ed averne condiviso le scelte fino alla RSI. Per non parlare del “Quisling della cultura”, Knut Hamsun, che il 7 maggio del 1945 scrisse un necrologio apologetico di Adolf Hitler, ponendosi sulla medesima linea dei collabò francesi ed in particolare di Céline. La condivisione degli ideali fascisti fu ampia nel mondo della cultura, lo testimoniano, tra le altre, le esperienze politiche dell’etologo Korand Lorenz e dell’espressionista Gottfried Benn, per non parlare del poeta Ezra Pound. E’ esemplare anche il caso di Julius Evola, di cui l’autore ricostruisce in modo rapsodico la biografia spirituale. Il tradizionalista non fu “fascista” in senso proprio, tentò, infatti, di rettificare la visione del mondo del regime in senso tradizionale, elaborando una visione spirituale della razza, distante anni luce da quella nazista, ma anche da quella fascista. Nonostante ciò, ancora oggi, è considerato un maledetto.
Il lavoro di Colombo, a nostro parere, presenta un limite: individua nel razzismo, almeno così ci pare, una sorta di file rouge, capace di spiegare l’adesione di eminenti pensatori ai fascismi. Crediamo, al contrario, che i maledetti abbiano visto nella “terza via” un’effettiva possibilità di superamento dell’economicismo capital-marxista e uno strumento politico atto a ridare dignità all’uomo europeo. La razza non fu che un elemento secondario, almeno per alcuni degli autori discussi.