Se c’è qualcosa di tipicamente americano, addirittura più della torta di mele, questa è la solitudine. È solo infatti, quel ragazzone di colore che a metà anni ‘80 si aggira per i corridoi della Washington High School di Milwaukee. E’ una Milwaukee fredda e non potrebbe essere altrimenti ma, è fredda anche per lui. È smilzo, lungo e ha le mani grandi. Si chiama Latrell, Latrell Sprewell. Ne risentiremo parlare.
Il contesto
La nostra storia assomiglia a quella di tanti altri cestisti cresciuti nell’America di quelli anni. Sono anni duri: se da una parte vi è una tiepida ripresa dei consumi dall’altra, sono le stesse Reaganomics a causare immensi effetti di macelleria sociale. In molti quartieri popolari di afro-americani, povertà, delinquenza e disperazione sono delle variabili molto note. E’ in questo desolato scenario che nasce il nostro protagonista, esattamente l’8 settembre 1970. L’infanzia è davvero terribile, suo padre Latosca infatti è un alcolizzato che spesso mette le mani addosso a sua moglie, nonché madre di Spree (questo il suo nomignolo), Patricia. E’ un giorno del 1977 quando dopo un’ennesima lite, il tutto davanti ai due figli della coppia, il padre scappa di casa, non prima di aver distrutto l’appartamento e, si porta via la Chevy Montecarlo, lo stereo (grande passione che Latosca trasmette anche a suo figlio) e il visone da 400 dollari. Patricia, che è un’operaia, non ci sta e lo porta davanti al giudice, facendolo mettere dentro; il tutto però, non prima di essersi riaccasata con un altro compagno che, egualmente, le mette le mani addosso e, non di rado, fa lo stesso anche con in due piccoli. Spree, queste cose se le ricorderà.
Il primo approccio col basket
Avevamo lasciato il nostro protagonista alla fine dell’introduzione, mentre si aggirava da solo per i corridoi della sua high school. Durante una delle solite passeggiate solitarie, il nostro si imbatte in un uomo, un certo coach Gordon che, vedendolo così prestante nel fisico, gli chiede se giocasse a basket regolarmente. Regolarmente, in questo scenario, si intende con arbitri, segnapunti e regole varie. Spree dapprima risponde affermativamente, poi però, compresa la vera natura della domanda, deve ammettere che al di là delle partitelle tra amici non si era mai spinto. A conti fatti e, quindi almeno fino al 1985-1986 circa, il giocatore che tra il 1998 e il 2003 avrà in mano il Madison Square Garden, non aveva mai giocato a basket organizzato. Intuendone comunque le qualità, coach Gordon, dopo una sorta di provino, inserisce il giovane Latrell nella squadra liceale. In quella squadra, il nostro segnerà 28 punti a partita. Non male per uno che solo pochi anni prima era stato tagliato dall’allenatore; ecco dunque, perché giocava solo al campetto. Il ragazzo ha talento ma, vista la sua situazione famigliare e caratteriale, l’idea di “proseguire gli studi” e giocare al college, non sembra essergli passata neanche per l’anticamera del cervello. C’è però un problema: ricordate il provino organizzato da coach Gordon ecco, ad assisterlo c’erano alcune sue amiche. Il problema? Una di queste viene messa incinta proprio da Latrell che pressappoco ha 17 anni. Si deve quindi andare per forza al college.
La gavetta e l’ingresso in NBA
Vuoi per il rendimento scolastico, vuoi per la location, vuoi per le sue questioni personali, non sembra esserci un major college in grado di accogliere Spree. Riesce però, con molta fortuna, a farsi inserire a Three Rivers Community College, un piccolo college del Missouri, non certo il massimo, pur ottimo nel forgiare il giocatore Sprewell. Dopo due anni, per altro impressionanti a livello prestazionale, si può andare ad un major college: lo prende Alabama, in quanto necessitava di uno specialista difensivo. Quella di specialista difensivo, non che in realtà non fosse un buon marcatore, tutt’altro, diverrà ad ogni modo la reputazione che non lo abbandonerà mai più. Ad Alabama Sprewell arriverà a giocare fino a 36 minuti a partita, il massimo in quel college basket. Un giorno del 1992 poi, scopre che Don Nelson, coach dei Golden State Warriors nella National Basket Association l’avrebbe scelto: è l’apoteosi. Per lui, dopo tante tenebre, finalmente sembra arrivare la luce.
Sprewell viene scelto nel Draft del 1992 con la chiamata numero 24: è l’assoluto Steal of the Draft. Il primo anno è secondo quintetto all rookie, l’anno dopo, pur non comparendo nelle schede di voto dell’All Star Game, vi partecipa come riserva. Nel 1993-1994 poi, mentre Jordan è impegnato nella sua nuova carriera di giocatore di baseball, c’è lui in guardia nel Primo quintetto All Nba. E’ un giocatore Sprewell, sinceramente straordinario: forte, tenace, atletico. La sua essenza di afro americano, così visibile per via delle classiche treccine, non tarda a manifestarsi ogni qual volta in campo ci sia un rimbalzo da catturare, una palla da recuperare o una penetrazione da effettuare. È’ davvero un cestita d’altri tempi. Purtroppo però, i problemi non spariscono del tutto: oltre ad avere sempre di fianco il padre, ricomparso in quanto in odore di soldi, Golden State perde progressivamente tutti i migliori giocatori. Così, la dirigenza si ritrova costretta ad impostare la squadra tutta su di Sprewell; ruolo, quello di primo violino, mai pienamente sopportato.
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I guai
Se da una parte c’è il giocatore, invidiabile, dall’altra c’è un uomo che non ha ancora trovato quello che sta cercando. I problemi caratteriali, connessi alle sempre peggiori prestazioni del collettivo, esplodono in tutta la loro gravità. Il clima è fin troppo pesante. In un normale allenamento del 1995-1996, durante una partitella, un contatto di gioco tra Spree e Jerome Kersey, sfocia in una rissa. Kersey, nettamente più forte e abile “a fare a botte”, mette praticamente al tappeto Sprewell che, completamente stordito esce dalla palestra. Vi rientra però, dopo appena cinque minuti, brandendo una chiave inglese, deciso a farsi giustizia da solo. I compagni, mettendosi in mezzo e chiudendo Kersey in uno spogliatoio, riescono ad evitare il peggio. Si intuisce però, di come sia Sprewell il vero problema: il ragazzo infatti, non ha controllo di sé stesso e dei suoi nervi. In campo però, quando si gioca e si fa sul serio, lo stesso è un animale anzi, è un autentico velociraptor per come porta la palla a quel ferro. Intanto, in un’ipotetica clessidra puntata sul 1997, scorrono tanti granellini e siamo quasi alla fine. Nel 1997 ad Oakland arriva come allenatore PJ Carlesimo. Egli è sicuramente un buon allenatore ma ha la reputazione di uno che va spesso in faccia ai giocatori; è aggressivo e molto volgare. Con questo genere di persone, il nostro Latrell non può andare d’accordo. Carlesimo è intrattabile quando si vince, figurarsi se dopo le prime partite della stagione 1997-1998 il record dei Warriors è 1-13 ( si, 1 sola vittoria su quattordici partire).
Arriviamo al dicembre 1997, i granelli della clessidra finiscono di scorrere. Durante un allenamento, la reticenza di Spree ad ascoltare i consigli del suo coach in materia di velocità d’esecuzione nei passaggi, sfocia in una furiosa litigata. L’allenatore addirittura percorre tutto il campo, per andare ad insultare la propria guardia, faccia a faccia. Ma se tutti pensano che la faccenda si fermi qua, è proprio adesso che accade l’incredibile. Arrivati face to face, stavolta Spree va al collo. Egli strangola il suo allenatore per quindici secondi mentre gli altri, asilanti, girano la testa dall’altra parte. Sembra un prison movie, un film ambientato in una di quelle brutali carceri americane. Non pago, uscito dalla palestra e poi rientrato, non prima di aver chiesto con urli belluini di essere ceduto- “Trade me, trade me, strillava” arriva anche lo schiaffo dato ad un Carlesimo shockato ed agonizzante. Le conseguenze sono terribili. La squalifica da parte dell’NBA è immediata. Un giocatore così, un uomo così sembra davvero finito ma…
La rinascita a New York
Gli dei del basket, solitamente, sanno essere i più bizzosi. Mentre infuriano le trattative tra dirigenza NBA e giocatori per il rinnovo del contratto per la stagione 1998-1999, Spree, dopo aver avuto anche altri problemi giudiziari, si ritrova completamente da solo. Tra i 29 general manager infatti, tutti lo vorrebbero come giocatore ma, per via del suo carattere, nessuno sembra davvero intenzionato ad ingaggiarlo. Tra i 29 poi, ce n’è uno che mai e poi mai lo prenderebbe: è Dave Checketts, plenipotenziario dei New York Knicks. Checketts, mormone, praticante, timorato di Dio, era colui che aveva detto che uno come Rodman nella sua squadra non avrebbe mai giocato. Rodman, per chi non lo sapesse, oltre ai flirt con Madonna e alla lunga amicizia con Kim Jong-un, è nella storia per essere il migliore rimbalzista dell’NBA ma, anche per la sua enorme stravaganza. Alla fine però, dopo tanti colloqui, sono proprio i New York Knickerbockers a concederli un contratto. La stagione 1999 di Latrell Sprewell è quanto di meglio si possa offrire. Allenatore è Jeff Van Gundy. In una città dove in tanti strangolerebbero il loro datore di lavoro e in una squadra pensata per vincere, o perlomeno per competere, Spree si sente a casa. Per la prima volta in vita sua. New York, arrivata ottava ad est, riesce incredibilmente ad arrivare fino alle Finals contro San Antonio. La squadra non è certo irresistibile, soprattutto dopo l’infortunio di Ewing; ad ogni modo Spree, con un buon supporting cast composto da giocatori quali Allan Houston e Marcus Camby, riesce ad arrivare fino alla fine. Come play, ecco Charlie Ward, un predicatore con una canotta; e in guardia, lui: con la numero 8 Latrell Sprewell. Stessa maglia, la numero 8 che, diverrà la preferita e la più indossata, in quel periodo di tempo, dal regista Spike Lee che, ad assistere alle partite dei Knicks a bordocampo del Madison c’è sempre. La serie di finale, purtroppo, finisce male: vincono gli Spurs 4-1. Spree però, non si arrende mai. Ha tra le mani anche l’ultimo tiro dell’ultima partita. Per quattro anni, con oltre 16 punti di media a partita, il nostro delizia un pubblico così esigente, con ripetute giocate sopraffine. Purtroppo per lui però, nel 2003, Van Gundy si dimette e I Knicks Spree lo cedono. Lo cedono ai Minnesota TWolves dove gioca per due anni, discretamente bene (oltre 14 di media), a fianco di Kevin Garnett. Tornato al Madison da avversario, scrive 31: il massimo per un ex New York nella sua vecchia dimora. Ogni punto è una dedica per James Dolan, il proprietario della squadra, ritenuto da Latrell, colui che aveva deciso per la sua cessione. Arrivati al 2005, anche il contratto con la squadra di Minneapolis scade. Gli viene proposta un’offerta di rinnovo di sette milioni per tre anni. Spree, un dominatore, era stato abituato a prenderne più di dieci. Arriva da parte sua un secco rifiuto. In seguito a ciò, tante altre squadre, con cifre simili, vengono a bussare alla sua porta. Tutte respinte. Praticamente quel 2005 è l’anno del ritiro.
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La fine
Ormai appese le scarpette al chiodo, il nostro, ripiomba nel più completo isolamento. Se non fosse per i continui problemi con il fisco, con annesso sequestro del suo amato yacht, di uno dei giocatori migliori degli ultimi venti anni non si sentirebbe praticamente più parlare. In una storia come questa, purtroppo, non ci può essere un lieto fine. Le ultime notizie ufficiali, datate 2013, parlano dell’arresto di un uomo, tale Latrell Sprewell, ex giocatore di basket. Il motivo: schiamazzi notturni. Lo stereo è troppo alto e i vicini chiamano la polizia. I poliziotti entrano in casa, prendono Spree, il quale non offre alcuna resistenza e, lo portano via. Quando sono entrati era solo, come sempre.
@barbadilloit