La Costituzione italiana ha compiuto settant’anni e si vedono tutti. Al di là dell’immancabile retorica d’occasione, il tempo trascorso rende ben evidenti le debolezze congenite della nostra Carta costituzionale. Per questo più che celebrarla sarebbe stato utile farne oggetto di una franca discussione, in grado di evidenziarne le storture. Storture che – in origine – vennero subito sottolineate dalla più attenta dottrina nazionale e che ora – non a caso – rimangono all’ordine del giorno dell’attualità politica, almeno per chi non voglia abbracciare certo conservatorismo istituzionale, quasi che oltre la Costituzione del ’47 non ci possa essere che il caos.
In realtà la lontananza tra cittadini ed istituzioni (con altissimi livelli di astensionismo al voto) è tutta interna alle debolezze del vigente apparato costituzionale, come – a partire dalla metà degli Anni Cinquanta del ‘900 – ebbero a denunciare intellettuali del valore di Giuseppe Maranini (“Miti e realtà della democrazia”, Comunità, Milano 1958), Giacomo Perticone (“La partitocrazia è uno spettro”, “Il Politico”, 1959), Lorenzo Caboara (“Patologia dello Stato partitocratico”, Leonardi, Bologna 1968), Panfilo Gentile (“Democrazie mafiose”, Volpe, Roma 1969), uniti nel denunciare la lontananza tra eletti ed elettori, la scomparsa di ogni selezione meritocratica del ceto politico, lo strapotere delle segreterie dei partiti, il gregarismo ideologico, l’occupazione partitocratica dello Stato, con il conseguente controllo del cosiddetto sotto governo e dell’amministrazione pubblica, la corruzione diffusa, l’instabilità politica.
E’ la stessa “estraneità” che Giorgio Almirante, agli inizi degli Anni Ottanta, fissava quale filo conduttore di “Processo alla Repubblica” (Ciarrapico, Roma 1980), sintesi esemplare delle critiche che da più parti si erano via via accumulate negli anni.
Da lì, anche da lì, occorre partire per porre l’accento non solo sui limiti dell’attuale assetto costituzionale, ma anche su un possibile percorso ricostruttivo, che evidenzi le lacune della Costituzione, le sue parti non applicate, le sue incongruenze.
Sul primo versante (le lacune) ci sono quelle che Alfredo Mantovano ha individuato essere “le disposizioni sulla vita, sulla famiglia e sulla libertà di educazione che esigono di essere ulteriormente dettagliate. Come nel 2012 è stato inserito nella Costituzione il principio del pareggio annuale di bilancio, così è auspicabile prevedere – per esempio – una maggiore cogenza nella tutela della maternità e dell’infanzia, con formule normative più stringenti, dalle quali derivino priorità nelle scelte ordinarie di allocazione delle risorse, che orientino il Governo e il Parlamento”.
Sul secondo (le parti inapplicate) c’è tutta la politica partecipativa, quella relativa al “diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”.
Ci sono poi, terzo elemento da affrontare, le incongruenze di un assetto costituzionale che è stato pensato prima della nascita del processo d’integrazione europea e che dunque necessita di adeguati strumenti di compensazione tra orientamenti nazionali e recepimento delle norme europee.
Per dirla con un Randolfo Pacciardi d’annata “ … considerare la Costituzione come un tabù era una assurdità troppo sciocca dopo oltre trent’anni dalla sua promulgazione”. Figuriamoci oggi, che dalla sua promulgazione di anni ne sono passati settanta, con quali risultati è ben evidente a tutti.