There are some people who say you shouldn’t mix politics and music, sports and politics… well… I think that’s kinda bullshit.
Adam Clayton, bassista degli U2
Cosa hanno in comune gli U2 e l’NBA? Poco, pochissimo, al massimo i sold out delle medesime arene. Beh, in realtà qualcosa in più ci sarebbe. C’è infatti una figura, il cui mito personificherebbe al meglio la citazione di Clayton. Il suo nome è Michael King Jr., meglio noto come Martin Luther King. Protagonista di due note canzoni della band irlandese -Pride (In the Name of Love) e Mlk, il giorno a lui dedicato è una vera e propria festa di sport, al pari di Halloween e Natale, sui campi della “National Basket Association”.
L’istituzione
Partiamo dalla fine: alle 18:06 del 4 aprile 1968 a Memphis, viene assassinato il reverendo King, al centro di tante battaglie per i diritti della popolazione afro-americana. Dopo una lunga battaglia, nel 1983 ( con 338 voti contro 90 alla camera e, 78 contro 22 al Senato) diventa legge un giorno che ne ricordasse i natali. Ironia della sorte a firmare la legge, è il presidente Reagan, non certo un amico degli afro-americani. Festeggiato da tutti gli Stati Uniti solo nel 1993, l’Nba comprende da subito le potenzialità del marketing di questa operazione. D’altronde in nessun altro sport, probabilmente, i giocatori di colore sono così dominanti. Il terzo lunedì di gennaio, oltre a veder chiusi tutti gli uffici pubblici, diviene così un modo per ammirare tante stelle all’opera nelle migliori arene d’ America.
Chamberlain vs Russel
A questo punto, si potrebbe comunque mantenere una certa difficoltà nel comprendere quanto questo uomo possa aver indirettamente, influenzato il basket. Notando le statistiche però, si capisce quanti pochi atleti di colore facessero dello sport mezzo secolo fa, sia a livello collegiale che professionistico. Gli anni ’60 però, complici anche le grandi battaglie di King e Malcom X, vedono piano piano cambiare consuetudine. Sono gli anni delle grandi sfide tra Philadelphia e Boston, tra Wilt Chamberlain e Bill Russell. Sono anni in cui il gioco cambia tanto, in cui l’avere un pivot atletico di oltre 2 metri, fa realmente la differenza.
1968
Il 1968 è un anno particolare, per ovvi motivi. In NBA, il mese di aprile coincide con i playoff. Ad Ovest, i Lakers di Elgin Baylor e Jerry West non hanno problemi e volano alle Finals, battendo Chicago 4-1 e, in finale di Conference, San Francisco 4-0. Ad est invece, la situazione è diversa; le partite infatti, sono molto più agguerrite. La finale della Eastern Conference poi, la classica Phila vs Boston, vale in sé il prezzo del biglietto. Gara 1 è prevista per il 5 Aprile. Il 4, sarebbe dovuto partire il baseball. I fatti di Memphis però, hanno da subito un’enorme rilevanza. L’Mlb non parte. Il pomeriggio di quel fatidico giorno, i due grandi neri protagonisti della partita, Wilt Chamberlain e Bill Russel, si sentono al telefono: nessuno vorrebbe giocare ma ormai la gente affolla il palazzo di Boston. In entrambi gli spogliatoi, comunque, si tiene un ultimo estremo tentativo: una sorta di referendum per giocare o meno. Nello spogliatoio di Phila ci sono sei neri. Wilt non vorrebbe giocare, anche Wali Jones non vorrebbe. Chet Walker si astiene. Gli altri, votano per giocare. Chamberlain è molto arrabbiato e in campo ne risentirà molto: la rabbia scaturisce, oltreché dalla situazione, dal fatto che il referendum sia stato posto da lui in persona e non dal suo allenatore Alex Hannum.
[youtube]https://www.youtube.com/watch?v=kqjsHwEpwf0[/youtube]
Nello spogliatoio dei Celtics invece, è proprio l’allenatore, l’ebreo Auerbach, a chiedere ai suoi cosa volessero fare. Ha in squadra sette neri ma anche bianchi, cattolici, protestanti, tutti uniti, tutti Celtics fino in fondo. Nonostante anche qui si voti per giocare, la forza di squadra renderà Boston invincibile in questa Gara 1. 127-118, vince Boston. Phila non ne ha, Wilt ancora di meno. La partita successiva però, con tanto buon senso viene spostata. Bill e Wilt infatti, devono per forza presenziare al funerale del reverendo King. E’ incredibile vedere i due grandi rivali, in piena lotta per l’accesso alle Finals, stringersi intorno alla bara di un uomo cui, direttamente o meno, devono tante delle loro fortune. La serie verrà vinta poi da Boston. Un 4-3 che spalanca ai celtici le porte della finale con Los Angeles. Anche in finale Boston sarà dominante: un 4-2 nella serie che materializza per Bill Russel per un altro anello di campione Nba, nel ricordo della sua guida spirituale da poco ammazzata.
Forse, allora è vero che chi dice di non voler mischiare sport e politica o, musica e politica in fondo sta dicendo solo fesserie?