A giugno, i reietti del Millwall sono finiti sulle prime pagine di tutti i giornali del mondo. Ancora una volta per fatti di violenza urbana. Quando tre islamisti hanno assaltato il ponte di Londra, diffondendo terrore e morte, si è levato contro di loro un 47enne di nome Roy Lerner. Che, da solo e a mani nude, ha affrontato i tre terroristi al grido di “Fanculo, sono del Millwall”.
Per una volta, l’Inghilterra ha applaudito a uno di quelli che, dal 1977, ha considerato come “pure evil”.
Sono la feccia. Non piacciano a nessuno, loro se ne fregano. Non sognano di gonfiare bolle, non giurano di non lasciarla mai camminare da sola, non hanno trofei da alzare al cielo. La vecchia firm più temuta e odiata, quella più violenta del Regno Unito, quella del Millwall si è raccontata, tempo fa, in un libro “Non piacciamo, non ci importa” edito in Italia da Libreria dello Sport.
Non c’è un solo volto riconoscibile tra quello degli hooligan che si raccontano ad Andrew Woods, la firma del libro. Il motivo è nelle prime pagine: loro non cercano la celebrità, non vogliono fare del loro tifo né spettacolo né fonte di reddito. Si fanno vanto di non avere nessun capo né di averne mai avuto (fatto salvo, e neppure troppo, il solo Harry The Dog). Si son decisi a scrivere per raccontare la loro verità. Su moltissimi aspetti della vita al di là della Manica. Tanto, loro sono il Male. E in questa posizione possono permettersi di dire la loro, senza dover adempiere a nessun obbligo di buona creanza.
Uno sguardo diverso da quello consueto su uno dei temi caldi dell’attualità sportiva, sui suoi luoghi comuni che, alla fine, hanno portato il calcio a trasformarsi in un oligopolio televisivo, in cui non c’è spazio per il tifoso a meno che questi non sia disposto a trasformarsi in cliente.
Ne esce fuori il quadro, estremamente contraddittorio, dell’Inghilterra degli ultimi decenni. Quella dei quartieri ultrapopolari dove i bimbi imparano a conoscere, da subito, il linguaggio della violenza. E quella dei parrucconi che si fingono sbalorditi quando, dai ghetti delle periferie, la violenza tracima fin dentro i loro televisori. La loro è una violenza sconvolgente perché, per chi ha l’illusione di aver tutto e di vivere nel migliore dei mondi possibili, una carica di rabbia tale non dovrebbe avere ragion d’essere, rappresenta una perversione inquietante. E basta. Non c’è spazio per nessun altro tipo di analisi.
I cinquanta racconti proposti in “Non piacciamo, non ci importa” spesso si intrecciano sul trinomio alcol-pub-rissa. Su cui insiste un altro triangolo: noi-loro-gli sbirri. Botte e mazzate descritte minuziosamente, cariche e scontri, agguati e follie. I rapporti con tutti i rivali finiscono, inevitabilmente, nella ricerca del confronto fisico con il terzo incomodo della polizia. Ne escono ammaccate, stavolta nella reputazione, tutte le più grandi firm del panorama hooligan inglese. Gli Zulù di Birmingham, le due tifoserie di Manchester, Chelsea, Arsenal e Tottenham. Ma chi ne esce peggio è l’Intercity Firm del West Ham accusata di aver disertato l’appuntamento fatale, nel 2009, contro di loro.
Sarebbe stata la sfida finale tra due tifoserie che si odiano dall’800. Secondo quelli del Millwall, gli Hammers (coccolati dal mainstream, così seducenti, così patinati) si sarebbero tirati clamorosamente indietro. E, anzi, avrebbero fatto i duri nascondendosi dietro i cordoni della polizia. In fondo, anche questo libro pare l’ennesima sfida agli Hammers. Le ricostruzioni di Cass Pennant, con i suoi lavori, vengono smentite e tacciate, nemmeno troppo silenziosamente, di “tradimento” degli stessi codici mai scritti che impongono – tra le altre cose – l’assoluto anonimato, dello sgonfiarsi dell’individualità al cospetto dell’orgoglio del gruppo.
Non ne esce meglio neanche il tanto celebrato modello inglese. Gli hooligans raccontano, per filo e per segno, tutti i metodi utilizzati per eludere divieti, diffide e barriere. Allo stadio, la gloriosa Tana (The Den), si va con i biglietti nominali intestati ad altri, gli scontri si spostano, dai campi, alle stazioni, ai parcheggi, ai luoghi distanti dalle “case dei club”. Alle società non importa debellare la violenza, interessa che gli scontri avvengano in luoghi tanto distanti dai loro stadi da non finire multati. Ai politici interessa far bella figura sui giornali, ai giornali interessa vendere.
Non si dipingono come vittime, a loro non interessa. Loro si pongono in conflitto con la vulgata tradizionale forti del fatto di essere il Male, possono permettersi di dichiarare guerra ai cliché, di smascherare quelle che ritengono essere state le bugie raccontate alla gente. E lo dicono chiaramente: per loro se il calcio inglese, a un certo punto, è diventato meno violento non è certo merito del Taylor Report ma del fatto che negli slums del Regno Unito si alzava sempre meno il gomito e ci si drogava sempre di più.
* “Non piacciamo, non ci importa” di Andrew Woods, Libreria dello Sport. 335 pagg. 13 euro