Promossa con riserva. Come gli alunni un po’ somari ma volenterosi di una volta. Questa è la pagella che l’Unione europea ha riservato all’Italia che esce così – con una lunga sfilza di compiti a casa da fare – dalla procedura per deficit eccessivo. Una “cura” che ha significato – rispettivamente – la più grave crisi “interna” dal dopoguerra ad oggi, il commissariamento di un governo eletto e l’avvento di una grossa coalizione figlia di un caos politico che non accenna a trovare normalizzazione.
Le colpe di questa situazione sono distribuite, certo, tra l’ultima fase del governo Berlusconi (con Tremonti esecutore delle volontà teutoniche) e l’intera esperienza dei “tecnici” (sonoramente bocciata dagli elettori ma soprattutto dagli analisti di ogni latitudine). Senza dimenticare, però, come la matrice della bolla finanziaria sia nata oltre i confini europei e come la debolezza dell’area dell’euro derivi da un’integrazione economica figlia della cultura economica conservatrice tedesca, storicamente antimediterranea e dedita alla preservazione della propria golden share.
Il premier Enrico Letta, commentando il risultato, se n’è uscito almeno con un minimo di stile: «Tutto merito degli italiani». Un po’ meglio del suo predecessore Mario Monti, narciso (e colpevole) come pochi. E in effetti il merito è delle famiglie italiane, dei lavoratori, dei pensionati che hanno visto stritolato il proprio potere d’acquisto, il diritto di andare in pensione per sanare i conti. Il risarcimento? Praticamente assente. Sì, sarà pure “sospesa” la rata di giugno dell’Imu, ma restano elusi i temi dell’aumento dell’Iva, del mercato del lavoro, del contrasto alla precarietà. Del resto i ministri di Lavoro e Sviluppo lo hanno dichiarato: fondi non ce ne sono. E a quanto pare anche idee.
Il rischio di questa situazione lo hanno spiegato, da posizione diverse, il leader di Confindustria e sindacati. Il primo lanciando l’allarme sul credit crunch che mette in seria discussione l’intero comparto delle aziende del Paese, i secondi – come ha detto il leader della Cgil Susanna Camusso – analizzando come se non si fa qualcosa la ripresa degli stipendi arriverà non prima del 2027. Sì, ma cosa? Idee, dicevamo, poche. Se non quella di “sconfessare” la riforma del Lavoro di Elsa Fornero (votata dalla stessa maggioranza che sostiene Letta) e annunci su “fase crescita” che vengono puntualmente smentiti dalle cronache.
Che Italia si appresta, insomma, a dover sottostare agli esami di riparazione con l’Europa? Un paese con il comparto siderurgico a rischio scomparsa, con una divaricazione tra Pil e lavoro che l’Ocse giudica «drammatica», con i dati sull’occupazione che testimoniano come una generazione non lo cerca nemmeno più il lavoro. Eppure dicono che il fatto che le elezioni amministrativa abbiano “blindato” le larghe intese sia un segnale di fiducia. Più che altro, invece, l’astensione alta confermerebbe il fatto che la politica nazionale non viene più percepita come risolutrice dei problemi, dato che è l’Ue a dettare l’agenda. Del resto tra i corridoi del Palazzo i temi del giorno sono questi: renziani contro i lettiani sulla legge elettorale e Grillo contro Ro-do-tà…