L’ultimo turno di Serie A ci ha consegnato il riscatto di Juventus, Napoli e Roma dopo le magre figure in Europa. Paulo Dybala è tornato a giganteggiare contro il minuscolo Sassuolo, il Napoli ha seppellito di gol il povero Benevento, la Roma ha affondato l’Hellas nel pantano del Bentegodi.
I meriti delle grandi sì, fino a un certo punto. Quel che è venuto fuori domenica è il quadro di una serie A completamente squilibrata, di partite totalmente prevedibili. L’unica tentazione che viene è quella di gettarsi in campo, implorando l’arbitro di mischiare le squadre.
Chi parla di “spagnolizzazione” del calcio italiano non ha tutti i torti. Come nella Liga comandano Real, Barcellona e (da qualche tempo) l’Atletico Madrid, così in Italia non c’è spazio per altri che non siano Juventus, Napoli e Roma. Rigorosamente in quest’ordine. Per le sorprese (milanesi comprese) non c’è altra ambizione che il quinto posto. Anche l’Atalanta, la Dea delle sorprese, sta sognando in Europa League che, al netto di Rooney, è quello che è.
Il “campionato più bello del mondo” non c’è più. E questo è assodato. La Serie A è diventata un torneo come tanti altri in Europa. Un campionato regionale dove, accanto alle grandi che devono sottoporsi alle formalità per le qualificazioni alle gare che contano (leggi Champions League), ci sono delle comparse. Il cui ruolo appare chiaro già fin dalle primissime battute.
Succede in Germania, dove non c’è nessuno che possa davvero dar filo da torcere al Bayern, almeno dai tempi del Borussia di Klopp. Accade in Francia, dove solo il Monaco dell’oligarca Rybolovlev può rappresentare un argine al Psg qatariota. Solo in Inghilterra la situazione sembra diversa, più combattuta e l’exploit del Leicester ha ridato smalto all’immagine della Premier.
A questo punto viene da chiedersi a cosa serve mantenere in piedi questi campionati nazionali e ancora resistere al progetto di una SuperLega europea tra le oligopoliste della pedata continentale. Magari aperta a promozioni e retrocessioni dai tornei locali. Una provocazione, certo. Ma qualche domanda ce la dobbiamo pur fare.
È ancora affascinante quel carrozzone elefantiaco che è la Serie A a venti squadre, dove per salvarsi basta far punti fino all’inverno, come fece il Genoa lo scorso anno? Oppure, obtorto collo, va data ragione a quel praticone antipatico di Claudio Lotito che immaginò il tonfo dell’attenzione nazionale rispetto a una serie A popolata di squadrette?