Leo Bonucci vuol essere un leader. Cerca in tutti i modi di farsi riconoscere come capo, di far brillare la sua stella, in campo e fuori. Eppure ha un grosso problema che mina, alle fondamenta, il suo carisma. Perché deve sempre litigare con tutti?
L’ultima di Bonucci è la diatriba con Ciro Immobile. Il centravanti della Lazio, che dopo aver terrorizzato in ogni senso la traballante difesa milanista (troppo presto incensata?) s’è dovuto sorbire il faccia a faccia con il capitano della squadra di Montella. Il motivo non s’è capito bene. Pare che il difensore non abbia digerito le proteste dell’attaccante contro il cascatore Kalinic. Ma sembra altrettanto probabile che a caricare di rabbia malmostosa il neomilanista sia stata la superba prestazione del biondo scugnizzo di Torre Annunziata che tre, dicesi tre, volte è andato a segno nella porta difesa dal (quasi) conterraneo stabiese Gigio Donnarumma.
Non è un buon momento, per Bonucci. Quella che ci stiamo lasciando alle spalle è stata l’estate più calda per l’ex centrale juventino. Accusato di essersela presa con Dybala durante (e dopo) la finale di Champions perduta con il Real, s’è lasciato malissimo con la Vecchia Signora. Non è stato elegantissimo, in verità, il suo addio. Polemiche, accuse, malizie, scintille, sottintesi e sotterfugi. Prima ancora, s’era appiccicato con il mister Allegri.
Meno elegante ancora, però, è stato il fatto che – appena arrivato al Milan, che non è esattamente la Pro Sesto – Bonucci si sia imposto come capitano. Magari per clausola contrattuale.
Desta un certo clamore, poi, quello che sembra il suo bisogno di dover diffondere proclami. A volte va bene, come quando incassò gioioso il sorteggio Champions contro il Barcellona (che altrove suscitò funerei telegrammi stampa). Se però il risultato non è quello, l’urlo di guerra diventa burletta; l’agonismo si fa scazzella, il carisma traballa e si scioglie in parole inutili, sceneggiate evitabili, furia malriposta. E poi va a finire che un vecchio leone dei campi, un artigiano delle mazzate a schiovere come Pasquale Bruno s’impunti contro di te e dica – urbi et orbi – che ha voglia di tornare a giocare solo per pestarti.
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L’unico obiettivo che sembra avere Bonucci (e per il quale ha scelto, al netto della supposta invivibilità nello spogliatoio bianconero, di andarsene a Milano) è quella di accreditarsi come uno dei più grandi difensori della storia recente del calcio italiano. E, ancor di più, come capitano coraggioso e paladino senza macchia. Si paragonò, a suo tempo, a un incazzoso come Mark Lenders. Ma la Serie A non è un cartone animato e certe cose, in Italia, non te le lasciano passare. Specialmente se perdi quattro a uno.