![Tifose siriane allo stadio](https://www.barbadillo.it/wp-content/uploads/2017/09/21369155_1922727731308916_7221689675277413235_n-310x207.jpg)
D’accordo, “è solo una partita di calcio”. Ma andate a raccontarlo ai ragazzi di mister Ayman Hakeem, alle migliaia di tifosi che martedì notte li hanno aspettati all’aeroporto di Damasco, o ai milioni di siriani che hanno seguito l’ultima partita della Nazionale nel girone di qualificazione a Russia 2018.
Eupalla, il breriano dio del pallone, ci ha messo lo zampino anche questa volta. Perché ha voluto che la Nazionale di calcio arrivasse agli spareggi per la fase finale di un mondiale (apice di una storia percorsa nel totale anonimato, se si eccettua una partecipazione alle Olimpiadi nel 1980) proprio nel momento più atroce mai vissuto dal Paese.
La guerra che dilania la Siria dal 15 marzo 2011 ha soffiato con alito di morte anche sui campi verdi degli stadi: fra le oltre 400mila vittime del conflitto ci sono 38 calciatori della massima serie. Altri 200 sono dovuti scappare, e così ha fatto la Nazionale che non gioca una partita casalinga ormai da sei anni.
Esule in patria, il calcio si è preso la sua rivincita sull’orrore un passo alla volta. Nel gennaio di quest’anno il pallone è tornato a rotolare perfino ad Aleppo, la città martire. I pluricampioni dell’Al-Ittihad hanno affrontato i concittadini dell’Hurriya, battuti per 2-1 nello scalcinato impianto del quartiere Al-Shahbaa in attesa che torni agibile lo Stadio Internazionale, un gioiello da 75mila posti che prima del conflitto faceva invidia a tutto il Medio Oriente.
![Damasco, il popolo siriano in piazza per il tifo pro nazionale di calcio](https://www.barbadillo.it/wp-content/uploads/2017/09/21272253_1922694517978904_8522965555787281186_n-310x233.jpg)
Ma sono state soprattutto le gesta della Nazionale in esilio ad appassionare chi è rimasto in patria e chi è dovuto fuggire. Dopo un primo girone di eliminatorie, passato in scioltezza alle spalle del Giappone, la Siria si trovava a competere con Iran, Corea del Sud, Cina, Qatar e Uzbekistan. Sulla carta una sfida impossibile contro vecchie e nuove potenze del calcio asiatico, cominciata infatti con una sconfitta e un pareggio per la Nazionale dei reietti.
Poi gli ingranaggi hanno iniziato a girare nel verso giusto e le “Aquile di Qasioun”, ospiti in Malesia a 7mila chilometri da casa, si sono prese anche il gusto di battere in trasferta la Cina di Marcello Lippi e di infliggere un secco 3-1 nel penultimo scontro al Qatar.
Soddisfazione doppia perché oltre a guadagnare il terzo posto significava relegare all’ultimo gradino della classifica la nazione organizzatrice dei mondiali del 2022, nonché uno dei principali sponsor delle forze islamiste che si oppongono al governo legittimo.
Tutto si è deciso nella sfida dell’ultima giornata contro l’Iran, già qualificato al primo posto. Per passare il turno serviva un’impresa da far tremare i polsi in casa di un’avversaria arcigna che nei nove incontri precedenti non aveva incassato nemmeno un gol.
Eppure Eupalla sembra avere un debole per i ragazzi di Hakeem: al 13′ il difensore Haj Mohamad, un circasso di Homs, sigla un incredibile, momentaneo 1-0. L’Iran però non concede niente, a dispetto dell’amicizia che lega i due Paesi sui campi di battaglia: pari allo scadere del primo tempo, vantaggio al 64′. In entrambi i casi va a segno Sardar Azmoun, il “Messi iraniano” in forza al Rubin Kazan.
Il pareggio finale è materiale da favola, e non solo perché arriva al 93′ quando ogni speranza di approdare allo spareggio sembrava perduta. L’uomo del giorno è Omar Al Somah detto Al Aqqid, dal nome di uno storico eroe della resistenza siriana contro l’occupazione straniera.
Al Somah viene da Deir Ezzor, che insieme a Raqqa è l’ultimo grande caposaldo dell’Isis in terra siriana. A Deir Ezzor, popolata da una folta minoranza di cristiani siriaci, 100mila uomini, donne e bambini hanno resistito dal 14 luglio 2014 alle orde nere dell’Isis, subendo anche un bombardamento americano che nel settembre 2016 uccise un centinaio di difensori della città.
Al comando del gigantesco druso Issam Zahreddine, il generale più celebrato dell’esercito di Damasco, i soldati della Guardia Repubblicana, della 137esima brigata meccanizzata e 104esima brigata aerea hanno combattuto come moderni spartani alle Termopoli. Con un esito migliore, però, perché nella mattina del 5 settembre le avanguardie delle Tiger Forces in arrivo dal deserto hanno infine spezzato l’assedio che durava da tre anni, liberando la popolazione dall’incubo del Califfo.
«Deir Ezzor sarà la tomba dell’Isis» aveva giurato Zahreddine, e così è stato. Proprio nel giorno in cui un figlio di Deir Ezzor regalava un sogno a una nazione intera.
Ora sarà il doppio spareggio con l’Australia a decidere se questa favola meriti una conclusione ancora più bella. Di certo c’è che la Siria ha ancora voglia di sognare, specie dopo aver riguadagnato la stella Firas Al Khatib, che nel 2012 aveva abbandonato il Paese affermando «fino a che ci sarà anche un solo cannone pronto a fare fuoco su qualsiasi zona della Siria, non vestirò mai più la maglia della Nazionale». Al Khatib si era anche unito alla “nazionale dell’opposizione”, formata nel 2015 nella città turca di Mersin, ma è tornato quest’anno ad allenarsi con i compagni in maglia rossobianca.
Comunque vada a finire, insomma, la Nazionale il suo miracolo l’ha già compiuto, facendo palpitare i cuori dei siriani dopo anni di atrocità e unendo un Paese diviso da fiumi di sangue. Certo, è solo una partita di calcio. Ma scusate se è poco.