Una folla feroce ha abbattuto una statua e ci si è accanita contro. Calci (contro il bronzo!) e sputi. Non è successo nel Medio Oriente ma nel cuore degli Stati Uniti. Non è stato l’Isis ma una turba di leftists empatici (sic!). Il video della statua del soldato confederato abbattuta a Durham nella North Carolina ha fatto il giro del mondo.
Il primo paragone che è venuto in mente a tutti è stato quello con le milizie islamiste. Per cancellare ogni traccia dell’aborrito paganesimo (e dell’odiato cristianesimo) le bande jihadiste hanno fatto scempio di un patrimonio artistico e culturale. Tutto il mondo pianse il martirio di Khaled Al Asaad, ucciso giusto due anni fa perché volle difendere la “sua” Palmira. Sangue e distruzione, la firma dell’Isis. In nome dell’unica e sola verità, la loro.
Il secondo paragone che (non) è venuto in mente a tutti è quello con le esportazioni della democrazia Usa e con le rivoluzioni colorate. Per cancellare ogni traccia dell’aborrito passato di regimi canaglia d’ogni sorta, carri armati e manifestanti – dall’Iraq fino all’Ucraina – hanno abbattuto statue di vecchi tiranni. Tutto il mondo gioì per l’avvenuta liberazione di quei popoli. Anche questa, finalmente, raggiunta in nome dell’unica e sola verità, quella del vincitore.
Perciò credere che la sinistra americana si sia inventata qualcosa è da pazzi. L’abbattimento degli idoli è caposaldo di ogni cultura che voglia rifarsi alla retorica dei Lumi e alle sue successive evoluzioni globali, dalla rivoluzione francese fino al jihadismo ultramoderno. Andando ancor più indietro, trarre il nemico nel fango e nella polvere è vezzo di ogni vincitore. Achille, sconfitto e ucciso Ettore, fece scempio del suo corpo per dodici giorni. Poi, però, restituì a re Priamo i suoi resti, garantendo protezione al troiano finché fosse rimasto nel campo acheo.
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La conquista di civiltà (come ci è raccontato dall’antichità) è nella pietas, quella che invece manca a ogni forma, aspetto, barlume di ipermodernità. La barbarie non è nel fare la guerra (ch’è res facti, al di là di tante belle parole) ma nel rapporto con il vinto. Nel riconoscer a questo, una volta che le armi hanno taciuto, dignità umana. Roma, che è stata grande (e a cui l’America tenta disperatamente e in ogni momento di paragonarsi), imparò dai nemici, li soggiogò ma seppe anche fonderli nel più grande impero di ogni epoca.
L’abbattimento delle statue di Durham non è altro che la spia di una generazione (a sinistra) ch’è tanto retriva e reazionaria da non sapere nemmeno guardare con rispetto ai morti, che quando son morti cessano di combattere. È un gran cortocircuito, apparentemente: sono gli stessi che fanno dell’empatia a tutti i costi la loro bandiera. Persino (o forse ancor di più) nei confronti degli animali. Evidentemente, per loro, la dignità di un vinto (e di un popolo) non vale quella di un cane.