Il giovane talento brasiliano si appresta a diventare il primo calciatore pagato da uno Stato
Non spenderemo più di un minuto a fingerci scandalizzati per le cifre in ballo nella cessione di Neymar da Silva Santos Júnior: 222 milioni di euro al Barcellona e 30 annui al giocatore, tantissimi anche in un mercato da qualche anno in crescita verticale, ma comunque coerenti con l’indotto di un sistema calcio altrettanto in crescita soprattutto per ciò che concerne diritti d’immagine e contratti televisivi.
Più particolare da osservare è invece come, anche per aggirare quel fair play finanziario sulla consistenza del quale diventa ora lecito farsi qualche domanda, Neymar finirà per diventare il primo calciatore pagato di fatto da uno Stato, il Qatar in questo caso.
La clausola da più di duecento milioni per portarlo via dalla Catalogna infatti non potrebbe mai essere pagata dal Paris Saint Germain senza aprire significativi buchi di bilancio; di conseguenza, sarà lo stesso Neymar a pagarsela, grazie ai 300 milioni che la Qatar Sports Investments, società che gestisce gli investimenti “pubblici” in tema di sport, gli verserà per essere il testimonial dei mondiali di calcio che si terranno appunto in Qatar nel 2022. Coincidenza fortuita il fatto che presidente della fondazione, Nasser Ghanim Al-Khelaifi, sia anche il presidente del PSG.
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Il cartellino di Neymar sarà così comprato da uno Stato, il Qatar, che da tanti anni sta investendo cifre impressionanti nel calcio, a cominciare proprio dalla sponsorizzazione delle maglie del Barcellona (con quella Qatar Foundation che finanzia anche la costruzione di moschee in tutta Europa). Come mai lo sta facendo? Può avere un utile economico? Appare quasi sicuro che no, il ritorno non può essere soltanto economico, perché non coprirebbe l’esborso complessivo. La ragione è allora semplice: il calcio serve ad arrivare ovunque, stringere rapporti, sedersi ai tavoli globali giusti per qualsiasi fine, specialmente extracalcistico.
Le conclusioni che possiamo sommariamente trarre dalla vicenda sono allora due.
La prima: il calcio è probabilmente destinato a diventare, come il basket NBA anche se con dinamiche e tempi diversi, uno sport sempre più dei calciatori e meno delle squadre. Inoltre, se il costo medio dei calciatori continua a salire e al tempo stesso i contratti dei top player possono arrivare in tripla cifra milionaria, sarà più agevole anche sul piano fiscale per le squadre scambiarsi i contratti dei giocatori piuttosto che far entrare e uscire centinaia di milioni ogni volta.
La seconda: lo sport è ormai definitivamente una forma di intrattenimento e come tale ha oggi un potere di attrazione e influenza sulle masse che fino a poco fa né sport né intrattenimento avevano. Anche il calcio diviene così uno strumento di propaganda e diffusione culturale come pochi altri, al punto da giustificare investimenti statali miliardari. Specialmente se resta uno dei pochi fattori di identità in un’epoca che sta vedendo il progressivo tramonto sia delle istituzioni che delle appartenenze.