L’estate pallonara ha già il suo Gano di Maganza. L’Efialte calcistico oggi pare essersi incarnato nel più promettente giocatore italiano della nuova generazione, Gigio Donnarumma. Il portiere ha rifiutato il rinnovo con il Milan, caldamente consigliato in questo dal suo pigmalione Mino Raiola. Tanto è bastato a farlo scadere dai cuori rossoneri.
Tutti contro Gigio.
Fa strano leggere tantissime prese di posizione che paiono fatte a bella posta per acchiappare i big like sui social. C’è chi profetizza per lui un destino di cenere: avrebbe dovuto consolidarsi al Milan (manco fosse un Sassuolo qualunque) e solo dopo tentare il grande salto. C’è chi si straccia i capelli perché “non esistono più le bandiere” dopo che per anni s’è salutato come cifra di modernità e progresso il fatto che i calciatori potessero andare dove più li pagassero. C’è chi parla di calcio malato ma mai ha speso una parola per dimostrare che, forse, lo è di più nelle serie minori dove per allenare devi portarti lo sponsor da casa, per esempio.
Tutto questo sia detto non per difendere le ambizioni (o l’avidità?) di Donnarumma e Raiola, mondo dal quale siamo sempre stati assolutamente distanti. Ma perché non paiono coerenti quelle posizioni che assomigliano troppo a costruzioni (anche loro) commerciali e interessate.
In principio fu Higuain.
E prima ancora Altafini. Il “tradimento” è categoria calcistica, ultimo brandello di uno sport nazionalpopolare che ha cercato di trasformarsi in un’ultima epifania dell’epica al tempo delle macchine e degli algoritmi. Gigio Donnarumma ha sbattuto la porta in faccia a chi lo ha cresciuto, lanciato nell’Olimpo del pallone. Tutto in nome del dio denaro, sobillato in questo da un consigliere interessatissimo. È il topos, bellezza: e non puoi farci niente.
Fatevi un giro sul suo profilo twitter. Per Donnarumma sono secchiate di insulti: i più buoni lo chiamano “porco napoletano”, un profilo arabo (!) lo chiama traditore (in italiano), i feroci gli intimano di cambiare la foto (dove indossa la maglia del Milan) “entro un’ora”. Il più figo è un anonimo su Twitter che gli imputa di essere “il triste prodotto figlio di questa società”. Questo tizio ha ragione da vendere ma lui, evidentemente, non è nella posizione di dar lezioni a un ragazzetto scordarello, men che mai sulla modernità dato che non solo l’accusatore non si firma, ma fa gli stati ironici per farsi rituittare in giro.
In tutto questo non c’è niente di diverso dalle feroci invettive napoletane contro Higuain transfuga alla Juventus. E se quelle contumelie furono bollate di folklore e inappropriatezza, perché con Donnarumma si dovrebbe essere spietati e unirsi al coro del dalli all’untorello?
Profumo di zolfo.
A voler essere cattivissimi, il Milan paga il suo stesso karma. Chi ha portato il concetto di professionismo nel calcio italiano? Chi ha imbottito la panchina e la tribuna di campioni solo per lo sfizio di toglierli alla concorrenza, condannandoli alla sostanziale fine della carriera (leggi Nando De Napoli)? Chi, ai tempi belli, arrivava con l’elicottero e ha privato Torino dell’astro di Gigi Lentini, ha soffiato alla Lazio Alessandro Nesta? Insomma, non è che si possa dire che il Milan sia stato un esempio di sangue e arena (né che mai s’è avvantaggiata dei servigi di mastro Raiola da Nocera). Non si gioca con la magia nera senza rimanerci scottati, prima o poi.
Non che Donnarumma sia un campione di attaccamento alla maglia, ma la storia recente del Milan è quella di un Faust che ha convocato nel calcio quelle forze delle tenebre oggi vituperate (cioé il denaro) e ne è rimasto inevitabilmente vittima. E senza alcuna assoluzione al portiere, ma se avete voluto (e non solo il Milan ma i tantissimi commentatori, specialmente professionali, che oggi si travestono da indignati speciali) che il calcio diventasse una miniera d’oro, un affare, un business come tanti altri adesso non va bene lamentarsene.