Oggi si celebrano a Roma i sessant’anni di un’Europa mai nata. Si celebrano sotto scorta, perché la beffa di un’Europa disarmata, nata come mercato comune e mai come potenza politica e militare, è di vivere nel coprifuoco nella paura di solitari, pericolosi imbecilli.
A Roma si celebrano le semifinali tra eurostatisti e antagonisti, fiumi di migranti e singoli terroristi. Vedremo chi tra loro riuscirà per primo a rovinare la festa.
Il Trattato di Roma fu il peccato originale dell’Unione Europea. Perché sin da allora si pensò, anzi ci si illuse, che l’Europa si potesse unire partendo dal Mercato Comune. Non fu una scelta strategica, ma una rinuncia obbligata, una vera e propria cessione di sovranità.
Cosa voleva dire infatti che l’Europa poteva unirsi solo come un Mercato, il Mec? Che l’Europa era una vecchissima minorenne sotto tutela americana, un cappone all’ingrasso che poteva crescere sul piano dei consumi e degli scambi ma non poteva avere le chiavi di casa e decidere il suo destino.
Alla politica mondiale ci pensavano i due tutori che si erano divisi l’Europa, vale a dire gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. E all’Europa si prospettava un destino di gigantismo economico e di nanismo politico-militare.
L’unica voce veramente dissonante nel tempo fu quella di De Gaulle che voleva l’Europa delle patrie e non dei mercati. Vi rendete conto allora perché oggi l’Europa ha ferree leggi in economia e in finanza ma ha una linea fragile e frastagliata quando si tratta di proteggere o affermare i suoi interessi politici, militari, geostrategici.
Tutto deriva dal quel peccato originale, da quella scelta battesimale, che poi diventò il profilo dell’Unione Europea. Mercato di ferro, testa di burro. L’Europa con gli anni crebbe in larghezza, cioè si estese in latitudine fino ad accorpare quell’altra Europa dell’Est rimasta sotto l’ombra del Patto di Varsavia e dell’Urss. Ma non crebbe in altezza, cioè in dignità politica e in sovranità.
Se oggi vediamo mezza Europa tentata dai populismi, l’origine dobbiamo rintracciarla in quel vizio. Se in un primo tempo l’Europa piacque lo stesso ai popoli, o perlomeno a una parte considerevole dei popoli, a cominciare dal nostro, era perché il mercato e l’economia distribuivano ancora ricchezza, spalmavano benessere, non erano ancora diventati il terreno del disagio sociale ed economico, il calo dei consumi, la perdita di status sociale, e soprattutto l’identificazione della finanza pubblica col Debito Sovrano.
Ora, l’aria è cambiata e i flussi migratori che l’Europa non sa controllare, l’invasione concorrenziale del commercio asiatico dall’oriente, l’ombra minacciosa dei fanatici islamici, aggravano la situazione. L’Europa appare una fortezza, ma non per impedire l’ingresso di nuove popolazioni, bensì per impedire alle popolazioni interne di uscire dai rigidi muri finanziari imposti dai parametri economici europei.
Una fortezza finanziaria per le sue popolazioni e una frontiera di burro per tutti gli altri. L’Europa ha vincoli ferrei in economia e invece viaggia sparpagliata sul piano politico e militare. Vincolati ma Sparpagliati, l’Europa di Pappagone.
E ora che si fa, si torna indietro agli stati e alle monete nazionali, si scioglie l’Europa? La soluzione non è rinchiudersi nel recinto di casa e immaginare di poter ripristinare la situazione precedente. Anche perché non avrebbe senso il ritorno alla lira col debito pubblico che ci trasciniamo appresso; a voler essere arditi e radicali dovremmo pensare piuttosto di rinegoziare il debito, visto che è un buco incolmabile. E non solo l’Italia.
La soluzione non è che l’Italia esca dall’Europa, semmai è necessario che l’Europa esca dall’Europa… Ossia che esca dal tinello ed entri finalmente nella Casa Europea.
Si tratta di rifare l’Europa, di ripartire da una confederazione di stati europei, rimetterla in piedi, capovolgendo il suo assetto odierno incentrato sulla subalternità tecnico-finanziaria e mercantile: più duttile sul piano dei mercati, le sue regole e l’economia, e più compatta invece sul piano della politica, della strategia, della difesa, con una più spiccata adesione ai principi fondativi della civiltà europea.
Si tratta insomma di pensare un nuovo trattato, ma mancano i soggetti all’altezza di una svolta del genere. Per questo l’Europa festeggia il compleanno col morto. O col bambino mai nato.