Il 25 marzo 1957 venivano firmati il trattato istitutivo della Comunità economica europea e quello della Comunità europea dell’energia atomica. Sono i cosiddetti “Trattati di Roma” che, insieme al trattato sulla Comunità europea del carbone e dell’acciaio, rappresentano il momento costitutivo della Comunità europea, del quale ci si avvia a ricordare il sessantesimo anniversario. Al di là della facile retorica d’occasione, dove trovare – tra manifestazioni e contromanifestazioni – il bandolo di un processo d’integrazione continentale, a dir poco contraddittorio, che rende così lontani gli organismi europei dai cittadini ?
Senza volere tirar in mezzo consorterie più o meno occulte e poteri forti, il “dramma” odierno dell’inconcludenza europeista sta negli eccessi di un “normativismo”, che ha raggiunto livelli parossistici. Quando si arriva a normare – come avviene con un regolamento di esecuzione UE (il 1333/2011) – la … “commercializzazione delle banane”, identificandone la lunghezza minima, il calibro, le forme di imballaggio e le caratteristiche (verdi e non maturate, intere, sode, sane, pulite, col peduncolo intatto, prive di ammaccature, prive di malformazioni e normalmente ricurve), fino a fissare – testuale – il “monitoraggio del funzionamento del mercato delle banane”, è evidente come si offra un’immagine falsata del processo d’integrazione continentale, facendone perdere di vista le ragioni profonde ed alimentando così una facile disillusione.
Da qui la domanda ed il discrimine: oltre ogni occhiuta burocrazia è così difficile trovare un’”altra Europa”? Noi crediamo di no. Basta volerla e saperla cercare, magari superando l’immagine di una banana ricurva (con annesso regolamento di esecuzione), per poi aprire una nuova stagione europeista, meno invasiva, sclerotizzata, soffocante, che guardi alla somma armonica delle diverse identità/sovranità e si alimenti di aspettative profonde, rese vive dalle radici di una spiritualità millenaria.
Oltre i “regolamenti”, gli spread , i “parametri l’Europa vera è Terra e Cultura. E’ l’Europa olimpica e dorica, protesa, da Capo Sounion, per farsi abbracciare dal Mediterraneo, Madre antica che non teme le notti glaciali, certa, nell’attesa, che la luce tornerà ad irradiarla. Europa di templi e di dei, romana ed imperiale, audace e guerriera. Cervello socratico e cuore cristiano – per dirla con Salvador de Madariaga. Capace di specchiarsi nei vetri delle sue cattedrali, segno d’una epoca splendente d’oro, d’argento, d’azzurro, di rossi e di verdi, fiammeggiante – come scrisse un europeista incompreso (Drieu La Rochelle) – sui portali delle chiese, nei saloni dei castelli, nelle case dei borghesi e dei fattori. Europa d’incunaboli e di immaginazioni futuriste, nel lungo rosario di genialità artistiche, scientifiche, drammaturgiche. Europa del lavoro e del diritto, capace di farsi esempio di civiltà. Eravamo/siamo diversi ? Certamente, ma – per dirla con Jose Ortega – “perché una Nazione esista è sufficiente che essa abbia coscienza del suo esistere”.
A questa Europa bisognerà tornare a guardare, prima o poi, al di là della retorica del sessantesimo della Comunità, ben convinti che essa è un’aspettativa troppo importante per lasciarla in mano alla burocrazia o soffocarla nello scetticismo. Tra i “regolamenti di esecuzione”, targati UE, e le disillusioni demagogiche, l’Europa merita molto di più. A cominciare dalla coscienza del suo esistere che oggi sembra mancare agli europei.