Solitario, sui generis, a volte provvidenziale a volte fragile, soggetto quasi sempre a critiche spietate e raramente elevato sugli scudi da compagni, allenatore e spettatori.
Nel corso degli anni sono stati versati fiumi di inchiostro per cercare di definire in modo completo il portiere, un ruolo individuale in un gioco di squadra e, dal punto di vista filosofico, quasi un rifiuto della massificazione da parte di un individuo dalla forte personalità, un super-uomo di nietzschiana memoria.
Solitamente un aspetto non viene mai messo in risalto: l’arditismo che si cela dietro ogni suo movimento e ogni suo gesto tecnico.
Già, perché non è da tutti affrontare in presa alta una mischia in area di rigore o gettarsi impavido tra le gambe ed i tacchetti degli avversari per evitare che il pallone varchi la linea di porta, ossia i sacri 7 metri e 32 centimetri simili al limes per il legionario romano.
Forse il paragone può sembrare a primo impatto esagerato, ma chi lo ritiene tale probabilmente non conosce la storia di Aldo Olivieri, portiere del Padova e del Torino e campione del mondo con la Nazionale Italiana nel 1938.
Olivieri si guadagnò i soprannomi di “testina di ferro” e “kamikaze” quando durante un Padova-Fiumana nel ’33 si fratturò il cranio in uno scontro di gioco e mentre i medici lo definivano salvo per miracolo e gli proibirono un ritorno tra i pali, dopo solo un anno Olivieri comandava di nuovo la sua are di rigore, più deciso e spericolato che mai.
L’amore per il calcio e per il suo magico ruolo gli fecero vincere ogni perplessità ed ogni dolore alla testa che lo accompagnavano per tutti i 90 minuti domenicali e durante gli allenamenti, rischiando la vita in ogni intervento o uscita. Cosa ci può essere di più simile a questo, se non i “fuochi” nei cuori dei giovani coraggiosi durante gli assalti alle trincee austriache sul Piave?
Sarà stato proprio per la sua storia, forse, che dopo essere tornato vittorioso con la Nazionale dal Mondiale in Francia del ’38, Benito Mussolini in persona durante i festeggiamenti a Palazzo Venezia, gli disse: “So che l’eroe siete stato voi: avete salvato l’Italia”.