Presentiamo un estratto dalla Prefazione di Giovanni Sessa alla nuova edizione del libro di Gian Franco Lami, filosofo politico dell’Università “Sapienza” di Roma, scomparso improvvisamente nel 2011, Arte e filosofia in Julius Evola, da pochi giorni nelle librerie per Fondazione Evola-Pagine editore, i libri del Borghese (euro 18,00). Nel 1980 fu il primo testo esaustivo dedicato al pensatore tradizionalista. Centrato prevalentemente sulla disamina del momento artistico e di quello teoretico di Evola, giunge a lambire la fase tradizionale di Rivolta contro il mondo moderno, mettendo in luce come la proposta evoliana fosse centrale nel dibattito intellettuale del Novecento europeo.
Evola, afferma Lami: “imposta…il problema filosofico in chiave individuale, o meglio, ‘esistenziale’, e risolve il metodo filosofico nella filosofia, e quest’ultima in una sorta di fenomenologia dell’individuo” . Da tale asserzione si evincono la potenza e l’originalità, nel panorama filosofico d’allora, non solo del momento speculativo evoliano, ma del suo percorso esistenziale. Infatti, l’attraversamento che egli compie dell’attualismo gentiliano, ritenuto vertice insuperato del pensiero europeo, prende le mosse, e qui Lami coglie pienamente nel segno, da Michelstaedter, dalla sua Persuasione. Questa, nell’esegesi lamiana, si configura quale: “…piacevolissima sensazione, quel piacere morale che si persegue nell’atto della liberazione, dell’auto-redenzione dal macchinamento sociale” .
Il giovane filosofo de La persuasione e la rettorica conduce Evola a comprendere essenzialmente che il significato della vita alberga in noi, nella forza della coscienza e nel “…senso personalissimo che ciascuno di noi riesce a dare alla propria vita” . A conferma di quanto sostenuto da Lami, ricordiamo che Evola nel saggio La potenza come valore metafisico, nel discutere le tesi gentiliane, in particolare in merito alla determinazione del molteplice, affidò all’Io empirico, alla sua fatticità di Einzige, di Unico, l’onore e l’onere, nella propria attività cosmicizzante, di “far essere” il mondo .
Al contrario, l’Atto puro del filosofo di Castelvetrano, con il rinviare all’universale, al trascendentale, introduceva nella prospettiva immanentistica di partenza, il Valore metafisico, il Dio trascendente. Per Evola e Michelstaedter, quindi, “platonici senza platonismo” per usare un’espressione coniata da Lami, sono convinti, contro ogni idealismo meramente gnoseologico, così come in contrapposizione ad ogni realismo ritornante, che l’assoluto, ciò che non ammette mediazioni, non possa essere ricercato che nel concreto, nella presenza dirà Andrea Emo, che con Evola condivise posizioni ultrattualiste.
Ma come poté il filosofo romano, se il quadro di riferimento teoretico che andò sviluppando tra il 1917 e il 1924 nelle opere speculative, era quello dell’immanenza pura e nuda, preservare il suo sistema e l’individuo assoluto dall’esito nichilista e dal rischio soggettivista e solipsista, tipicamente moderni? Come riuscì, allo stesso tempo, a superare il limite “mistico” di Michelstaedter, e il suo“dualismo”, retaggio della tradizione di provenienza del filosofo goriziano, quella ebraica, e evidente testimonianza dell’accettazione della logica eleatica e diairetica? Lo hanno spiegato con estrema chiarezza due esegeti del pensiero filosofico di Evola quali Giovanni Damiano e Massimo Donà: Evola non corse il rischio nichilista, perché il suo pensiero scoprì la libertà assoluta, fu anzi essenzialmente una filosofia della libertà . La libertà è realmente tale a condizione che non si esaurisca nella sua accezione di mero svincolo, libertà-da, di negazione fine a se stessa. Essa ha implicita in sé anche la posizione inversa, quella dell’affermazione. Essa “…propriamente non è nulla,…è “al di là” (dove “al di là” va inteso non come separazione ma, all’opposto, come termine di relazione) di ogni determinazione…sfugge ad ogni tentativo di entificarla” . Non è riducibile alla “cosalità” preda della morsa nichilista, vi si sottrae.
E’ prius rispetto ad ogni antitesi, fondamento infondato che in quanto assoluto, ha in sé la possibilità del limite, della necessità. In questo senso, sotto il profilo esistenziale, per Evola è sempre possibile che la rettorica possa tornare a darsi dopo la conquista della persuasione e viceversa. Evola al riguardo è chiarissimo: “…libertà significa possibilità e la possibilità indeterminata non ha nulla da cui poter essere contraddetta”. Donà sostiene, in tema, che richiamarsi al Geist: “…nella sua accezione specificatamente idealista significa…vedersi ineludibilmente sospeso ad una “possibilità” che sarebbe sempre potuta non essere in quanto tale” . Sostiene, inoltre, il filosofo veneziano, che in conseguenza di tale acquisizione teorica e pratica in Evola il “già stato” non costituisce un’esperienza data, passata. Tale posizione è talmente radicale da porsi oltre le barriere divisive della logica identitaria, consentendo ad Evola di incontrare il pensiero e la prassi “magica”, nella stagione immediatamente successiva a quella speculativa.
Anche Lami, fin dalla fine degli anni Settanta, mentre l’ermeneutica evoliana più diffusa costringeva il pensatore negli angusti limiti della sola proposta politica, aveva capito tutto ciò: la filosofia dell’esistenza di Evola (si badi!, da non confondersi con nessuna specie di esistenzialismo), si configurava quale modello di filosofia della liberazione, scandita nelle tappe fenomenologiche della Spontaneità, della Personalità, della Dominazione. Lami interpreta la prima come stadio del “vivere animale” dell’uomo. Ciò che il mondo greco chiama anthropos, l’uomo-animale, è perfettamente chiarificato da tale momento della fenomenologia, ed è la “figura” iniziale da cui muovere per giungere all’individuo assoluto. Per questa ragione l’uomo evoliano si fa in un percorso esistenziale sempre fallibile, ma comunque anche effettivamente possibile, non è dato, è una conquista graduale e remissibile.
Con la seconda epoca viene attuata la coscienza riflessa, in funzione della quale ci si sente nel mondo ma distinti da esso. Infine, nella terza epoca, la volontà diviene la base su cui costruire i rapporti tra io ed altro da sé. L’individuo si afferma. Trova vita l’aner, il portatore dell’andreia, “fortezza” esistenziale, che in cammino ascendente realizza in sé, nella concreta fatticità, la libertà. Evola, a dire di Lami, presenta sotto forma di filosofia, le sua esperienza di liberazione, la sua reale Via alla libertà. Si tratta di un processo “purificatorio”, come negli antichi Misteri, in cui progressivamente l’uomo abolisce e riduce la dipendenza dall’esterno e acquisisce, in un percorso mai definitivamente concluso, la capacità di fare centro a sé in ogni circostanza.
Su tale Via ci si lascia alle spalle il torpore vitale che ci avviluppa e ci si impone al reale nei termini dell’appercezione interiore. In tale contesto teorico, Lami rileva l’importanza per la formazione della filosofia di Evola della filosofia della libertà di Rudolf Steiner, ma ciò che stupisce davvero della sua esegesi, almeno nella nostra prospettiva, sta nell’aver colto la prossimità di Evola al filosofo Antonio Banfi. In particolare, in relazione al problema dell’ordine trascendentale, nel quale il pensatore milanese individuò il luogo della connessione tra conoscenza empirica e unità di significato, il quid che qualifica in profondità la vita.
[…] Ciò spiega la presa di distanza di Lami, nell’Appendice di questo libro, uscito da oltre trentacinque anni, da quanti tendevano allora, ma sono troppi ancora oggi, a voler “ridurre” l’evolismo entro gli angusti limiti di “immaginetta” da sezione, da gruppuscolo cospirativo o, a seconda dei casi, ad icona da setta para-esoterica . Evola, così come la sua visione della storia e l’idea di Tradizione, andavano liberati dalle letture deterministiche: questo il compito che si assunse Lami scrivendo le pagine che seguono. In esse, pur non disconoscendo il ruolo svolto da Guénon nel preservare il patrimonio simbolico europeo a beneficio dei venturi, di fatto rileva come l’Età Ultima, il Tramonto spengleriano tematizzato da tanta filosofia della crisi, per Evola dovesse essere vissuta, non come momento cataclismatico dell’origine, ma quale possibilità di un Altro Inizio.