“Destra senza veli” di Adalberto Baldoni è il nuovo saggio storico dedicato al periodo 1946-2017 e all’attività dei movimenti patriottici. E’ edito da Fergen: acquistabile dal sito www.destrasenzaveli.it
DAL CAPITOLO “IL MSI E L’ANTIFASCISMO MILITANTE”
Dal 1970 ai primi anni Ottanta la storia della sinistra rivoluzionaria in Italia coincide con quella dei gruppi armati, tra cui primeggiano le Brigate rosse fondate da Renato Curcio e la moglie Margherita Cagol che hanno lasciato la facoltà di Sociologia a Trento per trasferirsi a Milano dove, nel settembre 1969 assieme ad altri compagni hanno costituito il Collettivo politico metropolitano. Scopo del Cpm è quello di coinvolgere prima gli operai delle fabbriche e poi di portare le lotte anche nelle scuole, nelle università e nei quartieri. Al primo nucleo Cpm di Milano si unirà poco dopo anche Alberto Franceschini, dirigente della Federazione giovanile comunista emiliana. La prima azione delle Br è del 17 settembre 1970: a Milano viene data alle fiamme l’auto di un dirigente della Sit Siemens, Giuseppe Leoni. Il 20 ottobre è Foglio di lotta, supplemento di Sinistra proletaria (quest’ultimo, di fatto, organo del primo embrione della Br) ad annunciare la costituzione formale delle Brigate rosse.
A partire dal 13 dicembre si verificano a Roma alcune azioni rivendicate con la sigla Br I di Roma contro obiettivi di destra (incendio dello studio di Junio Valerio Borghese, attentati alle sezioni missine di Cinecittà e del Quadraro, alla sede di Avanguardia nazionale in via Arco della Ciambella e alla sede missina del Prenestino-Labicano). Nonostante proclamino che è la Dc il nemico principale l’estrema sinistra, con un’escalation impressionante, attaccherà senza tregua il Msi, specialmente a Roma centro del potere politico e a Milano centro del potere economico.
La storia del Msi, purtroppo, è stata segnata duramente dagli anni di piombo. Non si può fare a meno di parlarne, anche per sommi capi, dato l’alto contributo di sangue versato dai militanti missini.
A parte le scontate valutazioni dei primi gruppi extraparlamentari di sinistra che giudicano il Msi come la «ruota di scorta» della Dc, a parte gli appelli di Feltrinelli contro la destra reazionaria che -a suo parere- da tempo si preparava ad un colpo di Stato, sono significativi a questo proposito gli accenni alla Destra nazionale contenuti in due distinti documenti delle Brigate rosse.
Nel primo, diffuso nel settembre 1971, le Br precisano la loro analisi sulla situazione italiana, sulla sinistra storica e su quella extraparlamentare. Sul momento politico si afferma:
«Il dispotismo crescente del capitale sul lavoro, la militarizzazione progressiva dello Stato e dello scontro di classe, l’intensificarsi della repressione come fatto strategico sono due conseguenze obiettive ed inesorabili. Nella situazione italiana assistiamo infatti alla formazione di un blocco d’ordine reazionario quale alternativa al centrosinistra. Esso prospera sotto le bandiere della destra nazionale e tende a riassicurarsi il controllo della situazione economica e sociale e cioè alle repressioni di ogni forma di lotta rivoluzionaria ed anticapitalista».
Nel secondo documento, datato aprile 1972, le Br affermano che i «padroni» stanno portando avanti «un progetto strategico di riorganizzazione reazionaria e neofascista dello Stato: il progetto di una grande destra nazionale».
Secondo Pino Rauti sono stati i successi elettorali del Msi nelle elezioni amministrative del ’70 e del ’71 a provocare panico negli avversari. In precedenza, ripercorrendo le cronache politiche ed elettorali di tutto il dopoguerra c’è da notare che i successi dei qualunquisti, poi dei monarchici e degli stessi liberali, non avevano suscitato allarmi di alcun genere. Eppure erano state affermazioni elettorali consistenti. Ed allora perché tutti i partiti dell’arco costituzionale si erano spaventati del successo missino che poi, ad essere obiettivi, non era stato così eclatante?
Rauti ha una sua opinione:
“Ciò che faceva paura del Msi non era tanto la sua ascesa in termini elettorali, quanto la sua particolare e potenziale natura rivoluzionaria. Per essere più chiari, non era certamente una destra partitica o parlamentare che poteva turbare i sogni di Berlinguer, Moro e Andreotti, ma un mondo, quello di destra che, essendo capace di estendere la sua sfera di influenza ed attirare le simpatie di vasti settori dell’opinione pubblica, poteva spazzare schemi e giochi del Palazzo. Un mondo pericoloso, in termini politici ed anche elettorali, perché portatore di una tipica vocazione rivoluzionaria”.
Le organizzazioni della giovane destra, assottigliate dalle vicende e dagli equivoci del ’68, sono assediate, isolate, ghettizzate. Non riescono a sviluppare programmi di attività, a far conoscere le proprie idee all’esterno, a promuovere campagne di proselitismo. Sono costrette a difendersi, a rimanere in trincea, spesso a mimetizzarsi. Qualcuno, a destra, tenta di prendere le distanze dal Msi oppure di coniugare il fascismo (ma il primo, quello rivoluzionario e di sinistra) con il maoismo, nella speranza di tirarsi fuori dalla mischia. Sono però espedienti che non funzionano.
E’ il momento della radicalizzazione delle lotte politiche, sindacali, culturali e persino religiose. Non esiste la via di mezzo, né tanto meno il compromesso. Ed è persino difficile professare l’agnosticismo, sposare la neutralità, ignorare il clima che ti circonda. I gruppi di sinistra che, sullo slancio della contestazione giovanile e dell’autunno caldo, si sono sviluppati territorialmente in ogni parte d’Italia, riescono a penetrare nel tessuto della società.
Il permesso di fare politica è concesso solo a chi fa parte della variegata area di sinistra, i cui contorni appaiono però indefiniti e nel cui ambito si verifica un’osmosi continua fra il campo d’azione politica e quello della lotta rivoluzionaria. Fanno parte di quest’area universitari impegnati politicamente, emarginati, giovani in cerca della prima occupazione. Affiora la volontà di «muovere le grandi masse e portarle a combattere per la distruzione dello stato borghese».
Lo slogan più diffuso: «Uccidere un fascista non è reato»
Pur di recuperare il suo elettorato moderato, la Dc assiste passivamente, con i suoi uomini di governo, alle scorribande, alle aggressioni, agli attacchi dei gruppi extraparlamentari di sinistra contro il Msi.
Mentre l’antifascismo militante provvede autonomamente ad armarsi per far tornare anche fisicamente i “fascisti nelle fogne” (sopra i muri delle strade, sulle pareti delle scuole e delle università, all’ingresso delle fabbriche appaiono con sempre più frequenza emblematiche scritte come «uccidere un fascista non è reato»), i vertici del Msi, senza distinzioni di sorta dato che in quel periodo Almirante è circondato dal consenso unanime del partito, sono impegnati alla preparazione della costituente della grande destra trascurando di predisporre misure di difesa.
Solo quando i militanti dei gruppi extraparlamentari incominciano a spaccare le teste ai “fascisti” con le chiavi inglesi, le spranghe e i bastoni, i giovani missini corrono ai ripari.
Le locali federazioni provvedono a rinforzare o proteggere gli ingressi ai locali con porte blindate, grate di ferro e impianti antincendio, dopo avere subito irruzioni, saccheggi, attacchi ed attentati con bottiglie molotov. Anche il Secolo d’Italia, pur essendo localizzato a pochi metri dal Viminale e a cento metri dalla questura, non sfugge agli attentati. Una ferma presa di posizione dei tipografi e dei giornalisti spinge l’amministrazione a chiudere con cancelli di ferro a comando gli ingressi di via Milano e di via del Boschetto. Gli estintori, fino a quel periodo oggetti sconosciuti, fanno la loro apparizione nei locali del Msi, del FdG, del Fuan e della Cisnal. I giovani imparano ad entrare e ad uscire dalle sedi in gruppo, come pure a rincasare cambiando spesso itinerario, usando mille precauzioni ed evitando di farsi trovare isolati. Indossano caschi da motociclista per proteggere la testa.