Marcello Veneziani, cosa rappresenta la vittoria di Trump?
“Si tratta di un vittoria contro il politicamente corretto e non semplicemente contro le élites, come comunemente si dice. È la rivolta della gente contro un modo di declinare il presente che non ammette altre letture se non attraverso la classificazione della barbarie. Chi non si riconosce nel racconto dominante è considerato, per definizione, un barbaro, un incivile, un pericolo pubblico. Da cui quella ribellione popolare che spesso si appoggia a figure discutibili come lo stesso Trump che comunque, ci tengo a dirlo, l’ha spuntata nella più deprimente delle competizioni elettorali degli ultimi anni”
All’interno di tale consenso, in America come in Europa, spicca quel voto operaio che un tempo era appannaggio esclusivo della sinistra…
“Molti giornali, anche di casa nostra, sostengono che gli operai abbiano tradito la sinistra. Mi pare sia accaduto precisamente l’inverso: da tempo la sinistra non rappresenta più gli interessi popolari ma esclusivamente quelli elitari, facendo proprie posizioni umanitarie in senso astratto in base alle quali gli operai di casa propria sono sempre meno importanti dei potenziali migranti che vengono da lontano. E questo è un corto circuito che porta ad esiti come quello americano”
A proposito di giornali, come giudica la narrazione, totalmente scollegata dalla realtà, offerta dai media durante l’intera campagna elettorale?
“Il ritornello è sempre lo stesso, in America come da noi: mezza popolazione la pensa in un modo e il 95% dei media si muove in senso opposto. Mi pare un impoverimento di democrazia, di pluralismo, di libertà che porta con sé il rischio di brutte ricadute: in mancanza di una rappresentazione nell’informazione, nella cultura e nella riflessione collettiva, questi fenomeni possono infatti assumere vesti incontrollabili. D’altronde, è ovvio. Quando non si riconosce uno statuto culturale ad un processo, lo si spinge fatalmente verso l’imbarbarimento per poi dire…ecco i barbari!”
Come se lo spiega? Malafede o semplice incapacità di comprensione dei fenomeni?
“Io non credo ai grandi complotti. Quello che penso è che ci sia una buona dose di ottusità di sguardo da abbinare ad un certo accecamento ideologico e, infine, alla volontà di alcuni editori e di alcuni elementi rappresentativi del potere economico di fornire una sola chiave interpretativa della realtà. È un mix pericoloso in cui si mescolano interessi di alcuni, ideologie di altri ed ingenuità di altri ancora”
Torniamo a Trump. Un’altra vulgata è quella che vede nei “populisti” dei personaggi necessariamente pericolosi. In questo caso, è davvero così?
“Penso che con la Clinton avremmo corso ben alti pericoli. Basta soffermarsi un attimo su cosa è accaduto negli ultimi anni con la gestione Obama, così tanto esaltata e premiata a priori con un Nobel. Se oggi ci troviamo un Medio Oriente popolato da migranti e terroristi lo dobbiamo anche alla sconsiderata politica americana dei Bush e degli Obama, i quali, senza considerare le possibili evoluzioni, hanno abbattuto regimi che facevano da argine sia ai flussi migratori sia alla criminalità e al terrorismo, creando così una situazione che per noi europei è drammatica. Dire che si passerà ora dalla salvezza alla dannazione mi sembra una sciocchezza”
Per l’Europa, invece, cosa cambia adesso?
“Un fattore rincuorante è volontà di Trump di concentrarsi con decisione sulle questioni nazionali. Diminuendo così la pressione nei confronti degli alleati. Quando si dedicano alle tematiche interne, gli americani dismettono quel ruolo di gendarme del mondo che è stato causa di molti guai. Altra cosa importante è, almeno nominalmente, la possibilità di un disgelo con la Russia che per noi è un partner strategico. Tra le assurdità degli ultimi anni, spicca infatti l’annuncio dell’invio di truppe italiane al confine russo, in ossequio al diktat del presidente della pace Obama”
In conclusione, quale lezione possiamo trarre dal voto americano?
“Guardi, Trump è una incognita. La Clinton, invece, la conoscevamo bene e proprio per questo era meglio evitarla. Quando fu eletto Reagan ci furono gli stessi timori a proposito dell’attore in politica, del pagliaccio planetario e, invece, si rivelò tutto sommato un buon presidente. Quindi non dobbiamo fasciarci la testa prima di vederlo all’opera. Però il messaggio lanciato è chiaro: tra un’incognita e l’amministrazione Clinton, che si sarebbe mossa nel solco delle precedenti, gli americani hanno preferito puntare su una scommessa piuttosto che sulla continuazione di una politica decisamente avvilente”
*Pubblicata su “La Gazzetta del Mezzogiorno” (11/11/2016)