C’è ancora qualcuno che considera disdicevole leggere, da destra, Antonio Gramsci? Almeno per la parte che riguarda la sua teoria del potere culturale, Gramsci offre spunti ineguagliabili (di metodo , ovviamente), per capire non solo come si sia mossa la vecchia sinistra alla conquista del potere culturale, potere che, in parte, continua ad essere una sorta di sua ultima ridotta, ben radicata nelle università, nella Scuola, nelle case editrici, nei mass media, nel mondo dello spettacolo, nelle diverse articolazioni culturali locali e nazionali.
Ci dice Gramsci: attenzione lo Stato non si regge solo – come voleva la vulgata marxista-leninista – su un apparato di coercizione ma anche grazie all’attività del potere culturale , all’adesione degli spiriti ad una concezione del mondo che consolida e giustifica il potere politico. Sulla base di questa consapevolezza, il filosofo sardo teorizza la strategia dell’”egemonia culturale”, in grado di guadagnare la società a valori alternativi a quelli imperanti e di farla vacillare sulle sue basi.
Di fronte a questa vera e propria “guerra culturale”, è evidente che non si può pensare di lasciare tutto al caso, ma vanno sviluppate le doverose contromisure. In che modo Organizzando la cultura, là dove – usiamo la terminologia gramsciana – la “guerra culturale” è in atto.
Ci si attrezzi perciò – è il nostro invito e la nostra “provocazione” – in modo metodico allo scontro culturale, si affinino , da destra, le tecniche di comunicazione, si veicolino idee piuttosto che invocare censure, si accendano emozioni e suggestioni piuttosto che lamentarsi dell’egemonia culturale, come purtroppo, ogni sei mesi, sembrano essere impegnati a fare i vertici del centrodestra senza però tirare le doverose conseguenze alle loro “lamentazioni”.
Siamo chiaro: a differenza di una sinistra sostanzialmente antidemocratica (pensiamo all’uso ideologico della Televisione pubblica e dell’Università) non crediamo che l’egemonia culturale debba prevaricare la maggioranza politica e parlamentare. E tuttavia, proprio per evitare che quest’ultima subisca – come e accaduto ed in parte sta accadendo – l’assedio mediatico e culturale, lanciamo la provocazione e chiediamo le doverose contromisure: leggiamo Gramsci ed attrezziamoci di conseguenza, a cominciare dal territorio, dalle piccole realtà locali (dove il centrodestra governa), dall’associazionismo non omologato, dagli insegnanti non allineati, dagli uomini e dalle donne culturalmente liberi, dai giovani creativi, dal movimentismo diffuso soprattutto nella “Rete”. Diamo voce e strutture a questo mondo, diamogli strumenti ed “organizzazione”, spazi e voce. Ne va della difesa del pluralismo reale, che non può essere solo politico.
Nel momento in cui la “cultura di sinistra” è, nei contenuti, in crisi, mentre resiste come “tecnica di gestione del potere” e strumento antidemocratico di agitazione politica, il tempo per una cultura libera ed autenticamente creativa è nelle cose. Bisogna iniziare a crederci ed agire di conseguenza. Lavorando sugli “strumenti” comunicativi. Impegnandosi a dare forma alle “emozioni”. Creando suggestioni. Magari ripartendo da Gramsci.