*Oggi è il giorno del nuovo album dei Daft Punk, Random Access Memories: un evento mondiale. Barbadillo.it racconta la storia dei due dj-produttori parigine ripercorrene la biografia artistica.
«Il meraviglioso non è appannaggio esclusivo dei film e dei romanzi di successo: s’infiltra nel quotidiano attraverso la musica». Questa analisi del sociologo francese Michel Maffesoli consente di avvicinarsi al mondo delle note elettroniche dei Daft Punk senza pregiudizi di sorta, percorrendo i sentieri che giovani di tutti il mondo attraversano ascoltando le hit dell’avanguardistico tandem musicale francese.
Il nome del gruppo nasce da una stroncatura delle prime produzioni di due musicisti francesi, Guy-Manuel de Homen Christo e Thomas Bangalter, quando ancora si chiamavano Darlin’. Una pubblicazione britannica li bocciò definendoli «un manipolo di stupidi straccioni» e così “Daft Punk” divenne l’ironico pseudonimo dietro il quale si celarono nelle loro incursioni ultramoderne. Il filo rosso di fondo è «una attitudine giocosa» all’esperienza di mixare note, parole e suoni campionati. I primi lavori risalgono al 1994, ma il primo album Homework è del 1997: fu subito un successo planetario. Una ricca biografia dei compositori transalpini è stata curata per i tipi di Odoya da Marco Braggion (Daft Punk, Icons after all, pp. 188, € 15,00), testo che spiega con chiarezza come sia possibile saldare attraverso pezzi come Around the world l’immaginario musicale della generazioni anni Novanta con quella degli anni Zero.
«Mi ascolto i party della crew Bugged Out!, mi sparo le compilation della Kitsuné – scrive il recensore padovano – e cerco su YouTube le pubblicità della Levi’s con il pupazzetto di Mr. Oizo, il Rondò Veneziano, Benny Benassi. In questo profondo esame di coscienza mi richiamano all’ordine quei due figuri (i dj francesi ndr), col loro ridicolo casco a specchio e con le mosse plastiche da robot. Il disegno si fa chiaro: c’erano proprio loro sotto la rinascita del Ray-Ban con le steccone accentuate e coloratissime; quelle voler essere profondamente Novanta era tutto nei loro album». Ecco perché la giovinezza dell’era dell’iPad si salda con quella dei pionieri del primo web. «La musica dei Daft Punk – analizza Braggion – è il diario di quella memoria: per i trentenni degli anni Zero non è solo ricordo di un tempo andato, bensì è senso di appartenenza, comunità che esisteva prima del boom di internet e del social communitarism. Il fatto di essere tutti appassionati di due coetanei francesi che re-importavano il verbo disco nel continente europeo è sinonimo di recupero di una tradizione a cavallo tra le imperfezioni dell’analogico (il nastro fatto con le Bic a sfera per non consumare le testine dello stereo portatile) e le infinite tentazioni del digitale che oggi spopola come inarrestabile e incontrollabile “overflow mediatico”.
E i video musicali dei pezzi più famosi rappresentano un cult riprodotto migliaia di volte al giorno da internauti appassionati di tecno. «La breakdance dei manichini viventi (il riferimento è alla hit Around the world del 1997) si configura come uno dei pochi numeri da baraccone pop che non ha bisogno di antitarlo e che disseminato su molteplici piani (videoclip, audio, live, web, cinema) sopravvive al tempo». E in un periodo nel quale le nuove tecnologie sembrano progressivamente cancellare ogni retaggio del passato, «la proposta dei Daft Punk definisce una multiforme funzionalità che si configura come un ponte ideale tra anni Novanta e nuovo millennio, in più la loro immagine simboleggia e incarna la visione (fanta) scientifica di una robotizzazione del corpo che balla, attualizzando le movenze di Donna Summer quando canta il cult I feel love».
Umani dopo tutto. Ecco il senso del viaggio musicale dei Daft Punk, che nelle loro tracce toccano anche temi legati al contesto storico. Il primo pezzo dell’album Homework, infatti, è Revolution 909, e inizia con le sirene delle forze dell’ordine che intimano ai partecipanti a un raduno tecno di spegnere la musica e andare a casa. E il tandem transalpino si schiera a favore del popolo libertario dei raver, «contro le norme coercitive antidivertimento promulgate dall’autorità», pur assemblando note e suoi che incontrano il gusto di un pubblico hard e dei raffinati frequentatori di club house metropolitani.
I riferimenti ideali allora non possono non incontrare le T.A.Z. Di Hakim Bey, perché la protesta giovanile si scaglia contro i palazzi del potere e si raccoglie intorno a luoghi di aggregazione estemporanei, a “zone musicali temporaneamente autonome”». Se il primo album aveva come titolo ‘Un lavoro fatto in casa’ per l’utilizzo di campionatori con la naturalezza legata allo stare tra quattro mura amiche, la colonna sonora realizzata dal gruppo francese per il remake Tron Legacy (2010), prodotto dalla Walt Disney Record sublima la ricerca di unire immagini 3D con tracce in grado di sublimare la partecipazione degli spettatori durante la proiezione. E così sembra di diventare progressivamente un solo corpo con le Ducati futuriste che sfrecciano nel mondo elaborato da Kevin Flynn, protagonista dell’avventura fantascientifica. Frammenti sinfonici e accelerazioni tecno si saldano in un album che sorprende e spiazza: perché i Daft Punk armonizzano rumori con sequenze cinematografiche e liberano forze dionisiache.
«Il fenomeno “tekno” – puntualizza il sociologo Michel Maffesoli – agisce come un laboratorio in cui l’individuo, mentre si perde nell’insieme collettivo, conquista il piacere di vivere, con gli altri, un sovrappiù di energia e un’innegabile creatività. In quei momenti parossistici non esiste altro che il desiderio del “gruppo in fusione”. Senza voler arrischiare un paradosso, potremmo accostare questa pulsione che spinge verso l’altro alle estasi che hanno segnato le religioni. Esse prescrivono che si crei il vuoto totale e ci si rifugi in esso per raggiungere, al di là del piccolo sé individuale, un’entità più globale: quella della comunità».
Daft Punk “ultraterrestri”, utilizzando una categoria teorizzata di Bifo? Lontani da ogni definizione con il loro tecno informale, le produzioni cinematografiche, le incursioni nel mondo dei fumetti trasferiti sullo schermo (l’intero album Discovery è stato colonna sonora del film d’animazione Interstella 5555, di Leiji Matsumoto, autore di Capitan Harlock), i due musicisti francesi consegnano a chi vuole leggerle le chiavi per esplorare il mondo giovanile degli ultimi vent’anni, dove quella che può sembra una fuga dall’oppressione turbocapitalistica, non è altro che una esplosiva ricerca di libertà.
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