“Ma non fia per questo
che da codardo io cada: periremo,
ma glorïosi, e alle future genti
qualche bel fatto porterà il mio nome” (Iliade, XXII).
Ognuno di noi ha tifato per Ettore, navigando nei cruciali versi omerici. Almeno per un istante abbiamo tutti sperato che Achille, tronfio, già virtualmente vincitore, in qualche modo soccombesse dinanzi alla carica sacrificale – anche in nome della “patria” (Venner? Mishima?) – dell’eroe figlio di Priamo; abbiamo tutti sperato che il fato, la volontà divina e i favori di Atena s’inclinassero verso quello slancio intriso di kléos, tenero e triste al momento dell’addio inevitabile con la famiglia. Ma l’impeto coraggioso spesso non basta di fronte allo strapotere avversario.
E così arriva la Juventus al Meazza. Pronta a trafiggere le esili fila dell’esercito interista, lontano dall’incutere il benché minimo timore, zimbello dei popoli dopo la disfatta israeliana. Neanche l’animus giusto, dunque, sembra accompagnare la falange nerazzurra nello scontro fatale. E dagli spalti gremiti, silenziosi, si vedono, nel pre-partita, tanti volti che troppo bene ricordano la disperata espressione di Andromaca. Tutto sembra già deciso. Non risultano neanche essere particolarmente rilevanti le discutibili scelte dello stratega (?) Allegri (ben lontano dalla saggezza lungimirante del vecchio Nestore), che solo alla fine della battaglia sanguinosa sarà additato come uno dei principali responsabili della capitolazione. Già. L’Inter si trasforma, rievocando l’honos e il coraggio bellico, e forse Zeus ha riposizionato la bilancia colpendo mortalmente l’armata torinese, davvero troppo sicura di sé, soprattutto priva del suo Achille: Gonzalo Higuain. Non si sa se abbia problemi al suo speciale tallone, ma fatto sta che quindici minuti non bastano a sprigionare la sua forza distruttiva per rispondere all’Ettore argentino, Mauro Icardi, che con le orecchie tese chiama il popolo ad alzarsi urlando. Chiama i Troiani ad uscire dalle mura. Forse allora non tutte le battaglie sono già decise.
A noi interessa solo che il poema del calcio prosegua, unico e dolce. “Quando il nemico si trova a suo agio, può essere messo a disagio; quando è sazio, gli si può mettere fame; quando è stabile, può essere scosso“. (Sun Tzu, L’arte della guerra).