Il 29 agosto torna su Fox la seconda stagione di “Wayward Pines”, serie ispirata all’omonima trilogia di Blake Crouch, che a sua volta ammicca manifestamente alla celebre serie cult “I segreti di Twin Peaks”, che ha conquistato due intere generazioni.
La trama ruota attorno alla figura di Ethan Burke (presto raggiunto dai suoi familiari), agente dei servizi segreti che si ritrova inspiegabilmente nell’inquietante cittadina di Wayward Pines, che, dietro l’apparente tranquillità, svela, di puntata in puntata, il suo vero volto e le sue sconvolgenti – e mortali – verità: è l’anno 4028 ed è l’ultimo avamposto della civiltà umana. Detta così, in tutta onestà, senza particolari rivelazioni sui momenti clou della stagione, la produzione non sembra discostarsi troppo dal solito copione che nessuno sopporta più. E invece Wayward Pines, senza soffermarci sulle interpretazioni magistrali di Matt Dillon e Melissa Leo, sorpassa, o potenzialmente è in grado di farlo, la consueta impostazione della serie tv degli ultimi anni.
La serie supera infatti il modello The Walking Dead, ormai arrovellato su sé stesso: in WP ci sono degli zombie (che altro non sono, in realtà, che degenerazioni umane), su cui però la serie non si incentra in maniera maniacale; supera il modello Lost, per quanto le premesse siano simili: accanto alla ricerca di una spiegazione, la trama si ramifica, offrendo molto di più; supera la dolcissima serie Les Revenants, perché Wayward Pines non è solo una semplice città da cui non si può fuggire; e soprattutto riesce a rielaborare, in una chiave mai vista prima, gli abituali temi “classici”: il futuro apocalittico, l’estinzione della razza umana, la ciclicità del tempo, il progresso e ciò che resta della spiritualità, la famiglia come nucleo fondamentale, il sacrificio umano e l’obbedienza.
Il tutto condito dagli evidenti richiami estetici a Twin Peaks e allo stile di Lynch, e da una chiara ispirazione onirica e orwelliana di fondo: gran parte degli abitanti sono schiavi del pensiero unico, della verità confezionata che riscrive la Storia a suo piacimento e del dogma che diventa un mantra: “Non provare ad andare via, non parlare del passato, lavora duro, sii felice, goditi la vita a Wayward Pines, rispondi sempre al telefono se sta squillando”. Wayward Pines si fa pioniere di un nuovo genere, probabilmente e sfortunatamente non capito, né tantomeno sviluppato, fino in fondo, che rompe gli schemi prestabiliti – da cui nessun temerario ha osato discostarsi – proponendo non un calderone che puzza di ibrido, ma qualcosa di più. Più di thriller e sci-fi. E lascia tutto alla seconda stagione, senza nessun indizio. Ecco perché si deve sperare nel botto di una delle serie più strane e visionarie del decennio, che ha un occhio al passato e uno al futuro.
@barbadilloit