
Fave&Cicorie è una rubrica aperiodica nella quale discutiamo di temi complessi provando ad analizzarli con linguaggio semplice e immediato
“C’è quell’espressione che è stata coniata, “l’1% e il 99% della popolazione”. A forza di ripeterla, la gente ci ha creduto, hanno creduto di far parte di una maggioranza che non conta, ma è colpa del grande errore fatto 15 anni fa, la globalizzazione. Il più grande trucco fatto mai dalle grandi aziende: tutti quei posti di lavoro finiti in Cina e Bangladesh e Messico, prosperità sul breve termine e tanta disoccupazione. Se la gente ha problemi economici, ci sono molte spiegazioni”. Arriva dagli Stati Uniti. E’ la puntuale riflessione dell’intellettuale conservatore Tom Wolfe, riportata dal Corriere della Sera. Una scomunica ragionata della globalizzazione, definita un “errore”, o meglio un inganno pagato dai deboli, un artificio che ha fatto triplicare i profitti delle multinazionali, desertificando il settore industriale in Europa e distribuendo briciole di benessere nel terzo mondo oltre ai prodromi di nuove schiavitù. In questa analisi c’è la ratio da cui scaturisce la ribellione di popolo contro gli establishment europei e occidentali, complici di questo processo di impoverimento degli orizzonti di cittadinanza.
Le responsabilità delle oligarchie e tecnocrazie europee
La crisi economica che attanaglia l’Italia e il continente europeo è stata favorita da tecnocrati spregiudicati ma anche da oligarchie politiche assolutamente non autonome. Leader supini, incapaci di difendere le proprie comunità, hanno depotenziato la carica politica della “questione lavoro”, per rendere inevitabilmente precarie le esistenze di larghe fasce della popolazione, orfane di futuro.
Il voto contro le élite – in Italia come in Francia o Germania e adesso anche per la Casa Bianca – è la conseguenza di una scelta dissennata e consapevole dei governanti, a cui il popolo chiede (per ora) conto votando movimenti anti-sistema, a loro volta imprigionati in una surreale guerra tra poveri che si gioca sulla contesa muri/frontiere e utopia immigrazionista.

Siamo già all’interno della narrazione che Jean Raspail immaginò nel profetico romanzo “Il campo dei santi”. Chi può escludere che i marginalizzati dal gran ballo globalista imbraccino, prima o poi, il forcone e marcino verso fortezze delegittimate, a Francoforte o Bruxelles?