Dopo Dacca e Nizza, L’ipocrisia dell’Occidente (Laterza) di Franco Cardini è utile per decifrare il fenomeno islamista. Con la nota verve, l’autore ricostruisce le ragioni nascoste dietro lo slogan “scontro di civiltà” che riduce la complessità dei rapporti tra Islam e Occidente ad un divario ideologico. Storico controcorrente, Cardini ha subito l’ostracismo mediatico per La paura e l’arroganza (Laterza 2003) che gli è costata l’accusa di filoislamismo e filoterrorismo. L’ipocrisia dell’Occidente si conferma un’opera scomoda che non si uniforma alla tesi della vulgata di un Islam aggressivo verso il buon occidentale. La argomentazione è la seguente: il terrorismo islamico con le sue vittime innocenti è esecrabile ma per certi versi giustificabile. È la vendetta di Davide contro Golia, il “risveglio islamico” che squarcia il velo di Maya dell’ipocrisia dell’Occidente. L’opera segue tre percorsi: anamnesi, diagnosi, terapia.
Anamnesi. Fino al XV sec. in un sistema a “compartimenti stagni”, nell’area circum-mediterranea, avevano gravitato le civiltà cristiano-occidentale, cristiano-orientale e musulmana che, al di là di episodici scontri, dialogavano tra loro. Nel ‘500, con la nascita dell’économie-monde, si sancisce il dominio dell’Europa e lo sviluppo della diseguaglianza, che costituisce l’ossatura del capitalismo. La Weltwirtschaft (economia-mondo) è dovuta, ribadisce Cardini, anche alla disposizione dei colonizzati ad adottare i modelli socio-istituzionali dei colonizzatori. Si è attuata così una progressiva occidentalizzazione del globo. Le radici del fondamentalismo si collocano ai primi del ‘900. Il mancato sostegno di Francia e Inghilterra, previsto dal patto Sykes-Picot, alla realizzazione sulle ceneri dell’Impero Ottomano di una Panarabia è stato il primo trauma. La fondazione di Israele senza badare alle sorti dei Palestinesi, il conflitto che ne è derivato e oggi rischia di religionizzarsi, sono ulteriori responsabilità degli Occidentali. Come anche la continua ingerenza nella politica interna dei paesi di quell’area.
Diagnosi. E’ nella fitna tra sunniti e sciiti che si colloca l’ascesa del califfo Abu Bakr. Dopo le primavere arabe, con la regia e i petrodollari dell’Arabia Saudita, l’IS diventa il braccio armato per imporre l’egemonia sunnita. Leggendo Cardini si apprende che la lotta all’Occidente non è prioritaria nel jihad, ma è eredità delle frange di al-Quaeda confluite sotto l’egida della bandiera nera. L’antioccidentalismo e la shuhada sono i mezzi della propaganda del Califfo che fanno presa sui derelitti. Il nuovo grande dittatore durerà finché servirà ai Paesi del Golfo per azzerare lo sciismo, agli Usa per rimettere piede in Mo, ai Turchi per bombardare i Curdi fingendo di combattere l’Is, ad Israele che preferisce il vecchio Assad agli jihadisti, ai capi di Stato occidentali per fini elettorali. Sebbene sia un nemico pro tempore, la strategia del califfo non va sottovalutata: il Lumpenterrorist in una “guerra asimmetrica” si rivela arma efficace per tenere sotto scacco l’avversario.
Che sia in atto la “Terza guerra mondiale a pezzi” o la “guerra dei cent’anni” del ‘900, il risultato è identico: disperati versus ricchi. La rete informatica ha solo reso consapevoli i dannati della Terra del cuore di tenebra che alimenta la volontà di potenza dell’Occidente. Non è tanto l’occidentocentrismo, come Levy Strauss definiva la presunta superiorità dei valori occidentali, a rinvigorire la malapianta del fondamentalismo, ma proprio il tradimento di quelle istanze. Non comprendere che “il terrorismo jihadista si alimenta non solo di visioni religiose, ma anche di giustizia sociale” è miopia.
La strada della conoscenza reciproca
Terapia. Bisogna che l’Occidente interrompa la spirale dell’odio e scelga la strada non della vacua tolleranza, ma della conoscenza reciproca. Non rispondere al fondamentalismo islamico col “fondamentalismo occidentalistico”, ma con la Salad bowl, la convivenza di culture disciplinata da istituzioni universali.