Ci sono storie che stentano a venire alla luce del sole per essere conosciute come meritano. I motivi possono essere i più svariati: le condizioni storiche in cui sono accadute, e soprattutto la scarsa attenzione di chi avrebbe il dovere civico di divulgarle.
Budapest 6 febbraio 1945, l’Europa vive le ultime settimane della più devastante catastrofe nella storia dell’umanità: il secondo conflitto mondiale. In una livida alba si compie il destino di un uomo. Lui si chiama Geza Kertesz, e i tifosi del Catania lo conoscono bene, perché da allenatore è stato capace, dieci anni prima, di condurre i rossazzurri alla prima arrampicata in serie B. Buon calciatore e nazionale ungherese, Geza nella seconda metà degli anni venti getta gli ormeggi in Italia e sceglie di iniziare la carriera da allenatore. I suoi metodi innovativi convincono Vespasiano Trigona (Duca di Misterbianco) presidente-mecenate di un Catania che tenta la scalata verso vette più prestigiose.
E così avverrà puntualmente: il torneo di prima divisione 1933-34 è vinto in carrozza sbaragliando gli avversari. Grande e’ l’entusiasmo di migliaia di tifosi etnei che puntualmente riempiono il catino dello stadio di legno di Piazza Verga. Ogni santa domenica al “campo dei centanni” c’è la ressa per l’acquisto dei preziosi biglietti: dieci lire in tribuna, cinque nel parterre. Su quel rettangolo polveroso c’é la prima squadra che infiamma i cuori “marca liotru”; i suoi eroi hanno i nomi delle vecchie glorie del pallone italico Giovanni Degni, Ercole Bodini e Ottorino Casanova, dei giovani virgulti Mario Sernagiotto, Mario Nicolini e Ferruccio Bedendo, ma soprattutto del primo idolo indiscusso del football catanese Cocò Nicolosi.
Kertesz vive con la famigliola a villa Spadaro-Ventura, non distante dalla zona dove fervono i lavori di completamento del nuovo stadio Cibali. Per primo in Italia, il mister magiaro escogita una forma di ritiro collegiale quotidiano che si tiene in una grande villa con dependance nei dintorni del nuovo impianto sportivo in costruzione. L’obiettivo é di cementare lo spirito di gruppo “é il miglior propellente per le più grandi affermazioni”, ripete di continuo ai suoi ragazzi. Per la stagione 1934-35 si punta alla serie A e la rosa viene puntellata dal fantasista bolognese Amedeo Biavati, proprio lui ,l’inventore del “doppio passo” e futuro campione del mondo nel 1938: si approda al un buon terzo posto finale che non vale però la promozione.
L’anno calcistico di grazia 1935-36 si apre con i dubbi del tecnico danubiano sull’accettare o meno la riconferma, ma l’affetto dei tanti tifosi che lo fermano durante le passeggiate pomeridiane al Giadino Bellini e le pressioni del Duca di Misterbianco lo convincono a rimanere. Mister e Presidente sono legati anche da riti scaramantici come l’immancabile pranzo prepartita nel quartier generale del Duca che si affaccia su piazza Roma. La classifica finale é buona, ma un ciclo si chiude perché Vespasiano Trigona lascia la squadra nelle mani della federazione fascista catanese. Per l’ungherese, molto legato all’ex presidente, è il momento del commiato dalla città “dal cielo sempre azzurro e dalla gente sempre disponibile” che gli é entrata nel cuore. Inizia così a girovagare per mezza Italia: Taranto, Atalanta e, nel 1939-40, il prestigioso incarico alla Lazio di Silvio Piola, con cui consegue un buon quarto posto nel massimo campionato.
Dopo una stagione interlocutoria, ecco a sorpresa il ritorno all’ombra dell’Etna. Molte cose son cambiate nel frattempo: i rossazzurri militano nel girone meridionale della terza serie insieme a Palermo e Siracusa, ma soprattutto da oltre un anno l’Italia di Mussolini é impegnata in una guerra che coinvolge anche la città etnea con frequenti bombardamenti che minacciano anche il nuovo stadio Cibali, da poco intitolato alla memoria del gerarca Italo Balbo.
Seppur competitiva per l’immediato ritorno tra i cadetti la compagine etnea non riesce ad imporsi rimanendo nelle secche della serie C. Per Geza é il momento dell’addio definitivo: all’orizzonte c’é adesso il prestigioso incarico di guidare i campioni d’Italia della Roma, ma nel 1943 la voragine degli eventi bellici ha il sopravvento, e l’attività calcistica è sospesa.
Da fervente nazionalista ed in qualità di ufficiale dell’esercito, fa ritorno nella nella sua terra natia: per lui é pronta la panchina dell’Ujpest, che parte favorita per la vittoria finale in un campionato di calcio, unico diversivo per un popolo precipitato nel dramma dell’occupazione militare nazista.
Le persecuzioni colpiscono ogni settore della società magiara, e sono tanti gli sportivi che finiscono deportati nei campi di concentramento. Ma qualcuno decide di non rimanere con le mani in mano, e compie il più grande capolavoro tattico della sua vita: insieme ad Istvan Toth, trainer degli acerrimi rivali cittadini del Ferencvaros, Kertesz costituisce una associazione resistenziale che ha l’unico scopo di strappare quante più vite alla follia dei campi di sterminio. Decine di persone vengono nascoste tra case di amici e monasteri: è un autentico miracolo compiuto dalla generosità e dal coraggio di due uomini.
Ma c’è di più: lo stesso Geza che conosce bene il tedesco di traveste da soldato della Wehrmacht per aiutare alla fuga la gente dal ghetto di Budapest. Come sempre nella natura umana, apici di grandezza si alternano a vette dotate della più infima brutalità, così un giorno di novembre del 1944 la Gestapo si presenta a casa Kertesz per arrestarlo. Sono ormai gli ultimi mesi del conflitto mondiale ed in una patria assediata dall’Armata Rossa di Stalin, imperversano i nazisti ungarici delle croci frecciate in cerca di sanguinose rese dei conti. Non un briciolo di umanità da parte dei carnefici precipitati nell’abisso morale della follia: all’alba del 6 febbraio 1945 Kertesz viene fucilato.
Alla fine della guerra una intera nazione gli tributa gli onori dovuti nel funerale celebrato postumo e a cui partecipa anche una delegazione di catanesi con un vessillo rossazzurro. Da allora é sepolto nel cimitero degli eroi di Budapest con addosso una medaglia riservata a pochi. Nei decenni successivi il regime comunista scomunicò Kertesz a causa del suo nazionalismo, non dando alla sua storia la luce che avrebbe meritato. Ma anche a Catania per oltre sessantanni la sua vicenda personale é stata colpevolmente dimenticata. Farla conoscere é il tributo minimo ad un uomo dal cuore buono che ci piace etichettare come “lo Schindler del Catania”.