Dopo Carlo Lizzani, anche Marco Bellocchio. I registri di sinistra sedotti dalla forza mitopoietica del fascismo e di Benito Mussolini. Bellocchio, in una recente intervista su La Stampa ha descritto il fascismo come una vera rivoluzione, costruita sull’uso politico dell’immagine da parte del suo leader. Con la riflessione torniamo ai primi anni del novecento, ma il leaderismo sembra essere un filo rosso costante nella politica, fino ai nostri giorni, nei quali – scomparsi o evaporati i partiti – restano le personalità individuali a segnare gli orizzonti possibili.
L’intervista di Marco Bellocchio a La Stampa
«Sì, quella (fascista, ndr) fu una vera rivoluzione. Nell’Europa occidentale il Duce fu il primo a intuire la potenza della propria immagine. Prima di lui, a parte Garibaldi, i politici come Crispi, Nicotera, Giolitti, erano uomini di grande potere, ma con volti assolutamente anonimi. Mussolini, invece, impose la propria immagine, proprio attraverso il cinematografo, la radio, la fotografia, e questa fu un’assoluta novità storica. Fecero così Hitler e, in forma più precaria, anche Lenin e, soprattutto, Stalin».
Propaganda e web per il regista
Alla domanda “Oggi la propaganda ha a disposizione strumenti potentissimi, web in testa”, Bellocchio risponde così: «Certo, e il suo potenziale è mille volte più aggressivo, diffuso, istantaneo. Prima c’erano le edizioni straordinarie dei giornali, ma non sono paragonabili all’enorme diffusione di smartphone e simili, adesso l’informazione dilaga, facendo venir fuori cose che prima restavano chiuse in luoghi interni, è una specie di bomba atomica, un magma in cui i giovani di oggi sono immersi. Personalmente mi sono autoescluso da tutto questo, ma mi colpisce molto l’istantaneità, per esempio delle notizie di morti. Mentre prendi un caffè al bar puoi venire a sapere che è mancato Albertazzi, oppure Scola, e le reazioni sono lì, immediate».
Lizzani e l’elogio del fascismo
Il regista Carlo Lizzani, come già fatto da altri esponenti dell’establishment culturale italiano, in una intervista a Io Donna ha tessuto le lodi del fascismo e della modernità di un’idea che cambiò l’Italia: “Ero un ragazzo – aggiunse – e quello era il passaggio dal sogno di diventare scrittore al vedere, in quel nome stampato per la prima volta su una rivista così importante, la realizzazione dei propri sogni. Inoltre, anche se meno, contava il sentirsi parte di un processo più ampio, cioè la modernizzazione dell’Italia operata dal fascismo. Per noi ragazzi si aprirono le porte di pubblicazioni come “Primato”, con Bottai e altri gerarchi che offrivano la possibilità ai giovani di scrivere per le principali riviste. Il Centro sperimentale di cinematografia, un’invenzione fascista, proiettava i film sovietici. Ci sentivamo promossi come nessun’altra generazione prima di noi. Le parole d’ordine erano “largo ai giovani” e “la borghesia la seppelliremo”, mentre i nostri padri venivano da società gerontocratiche, bloccate. I Littoriali erano grandi gare giovanili che davano ai dicottenni l’opportunità di viaggiare, uscire di casa, sentirsi autonomi rispetto alla famiglia e ai canoni borghesi […]. Noi universitari eravamo nei Guf, i Gruppi universitari fascisti. Io addirittura al liceo, quando seppi che ai Guf si proiettavano opere che in giro non si vedevano, mi infilai e iniziai a frequentarli per vedere i film di René Clair e quelli del Centro sperimentale. Nel Radioguf i giovani si esercitavano a fare la radio. Ai Teatriguf fecero i primi provini Anna Proclemer e Giulietta Masina. Si veniva catapultati, con la possibilità di cimentarsi e mettersi alla prova. Oggi i Dams non hanno gli stessi mezzi. Di Teatroguf invece ce n’erano diciotto, e non solo a Roma e a Milano. Il fascismo è un fenomeno articolato, complesso, non è come i colonnelli greci o Pinochet. La predicazione antiborghese del fascismo ci ha preparato a passare armi e bagagli sul fronte marxista. All’Istituto di cultura fascista andavamo a leggere il Manifesto di Marx in appendice a un volume di Labriola”.
Lizzani sullo scempio di Piazzale Loreto
“Lo stesso Pajetta me ne parlò come di un atto terribile che non si riuscì a impedire. Non fu giusto, ma forse inevitabile nell’abisso in cui eravamo finiti per vanità, ideologia e incapacità militare. Ha ragione Günter Grass quando descrive la sua giovanile militanza nazista: sono momenti di accelerazione della storia. In quattro anni maturammo quanto in 30 anni di pace. La storia, però, non è lineare. Non ci sono il bene e il male, la reazione da una parte e il progresso dall’altra. Il fascismo è stato un movimento di massa reazionario ma modernizzatore, non era la repressione militare di fine Ottocento. Ha aggiornato il modo di vita degli italiani con i piani delle città, il cinema, la radio, l’urbanistica, l’Accademia d’Italia. Ha fatto bene, poi è sprofondato nei disegni di superiorità razziale mentre gli imperi coloniali cominciavano ad essere liquidati”.