La politica estera è l’arte più nobile. Il luogo d’elezione nel quale si valuta appieno l’abilità diplomatica delle classi dirigenti: oggetto del contendere è la dignità nazionale, non la vittoria nelle primarie o l’ennesima ripetitiva querelle sul Caimano.
L’esecutivo Monti e il ministro Terzi non hanno mostrato nello scacchiere internazionale la stessa competenza rilevata nel porre un argine, con nuove tasse, allo sconquasso delle casse pubbliche.
L’uccisione dell’ingegnere italiano in Nigeria e l’arresto dei due marò in India, però, non sono solo una pesante sconfitta di un esecutivo tecnico – i cui indirizzi di politica estera non sono stati ‘votati’ dal popolo sovrano – ma dell’Italia tutta. Il premier e il titolare della Farnesina sono l’emblema di una nazione umiliata, incapace di far rispettare trattati internazionali che dovrebbero tutelare i suoi militari e i suoi cittadini. In questo contesto da Italietta non bisogna trascurare la nebulosa gestione del blitz in Nigeria da parte dei britannici, dove Roma ha ricevuto solo informazioni parziali e intempestive.
Una umiliazione di questo tipo richiama alla memoria la peggiore Caporetto dell’Italia del calcio: la sconfitta per uno a zero, il 19 luglio 1966, contro la Corea del Nord a Middlesbrough (0-1, gol di Pak Do Ik), nel girone eliminatorio dei Mondiali inglesi. Presidente del Consiglio e titolare della Farnesina sono gli Edmondo Fabbri del nuovo secolo.