La sorte, dicono, non è stata benevola con l’Italia che pesca il girone di ferro in compagnia di Belgio (favoritissimo), Irlanda e Svezia. Credo che, foss’anche andata in maniera diversa, i peana alti e dolorosi si sarebbero ugualmente levati altissimi nel cielo scuro scuro che ammanta d’ombra ciò che resta della pedata nostrana.
Andiamo con ordine. Tenendo ben presente tre-quattro argomenti strettamente inerenti la questione girone. Primo: il Belgio è pieno zeppo di fenomeni, come negli anni ’80. E come allora, fino ad oggi, a livello di nazionale i Diavoli Rossi hanno dimostrato poco. Secondo: l’Irlanda con Roy Keane vice in panca è più affascinante che forte. Terzo: la Svezia, tolto Ibra, è poca cosa. E allora, se è così, perchè non si può avere fiducia nelle capacità dell’Italia?
In prima battuta per una questione scaramantica, gli azzurri, storicamente, vincono quando sanno che nessuno – manco mamma e papà – scommetterebbe un euro sul loro successo. Poi, e qui iniziamo con le cose serie, il movimento pallonaro italiano, tricolore, nostrano, se non è all’anno zero poco ci manca.
La Federazione non ci sembra delle più solide e affidabili. Ce lo vedreste Tavecchio presidente della Juventus, o del Milan, o della Roma? E, se lo fosse, riterreste una squadra capitanata da lui come papabile alla vittoria finale di una Champions League? Troppa politica e poco pallone, diciamolo che nessuno si può offendere.
La Serie A non ci sembra un bel serbatoio di talenti italiani. Per dirne una, a costo di sfondare il più banale dei luoghi comuni, domenica sera s’è giocata Napoli-Roma. I giallorossi di Garcia schieravano, nell’undici titolare, il doppio dei calciatori italiani schierati invece dagli azzurri di Maurizio Sarri. E fuor di battuta, in tutto erano tre: De Rossi e Florenzi da una parte contro Insigne dall’altra.
E giusto per non farsi mancare nulla, i club boicottano sostanzialmente la nazionale. La logica liberal-pallonara non fa una grinza: ma se il centravanti lo pago io e si rompe con l’Italia poi chi me lo ripaga?
E così, per non scordarsene: l’Italia ha ancora bisogno dei vecchietti del 2006 e, senza pietà, viene richiamato dal Valhalla statunitense dei calciatori Andrea Pirlo che voleva solo godersi in pace gli ultimi scampoli di una carriera irripetibile.
Ultimo, ma solo perchè dulcis in fundo, il cittì Antonio Conte. È uomo d’impeto, di carattere, d’azione. Capace di cavar sangue dalle rape e trasformarle in campioni. Però l’hanno fatto scocciare e, in fondo, su troppe cose ha ragione da vendere.
@barbadilloit