Le difficoltà di assemblare una vera coalizione anti-Isis sono state analizzate con puntualità da un fondo del generale Mario Arpino sul Qn. L’ex capo di Stato maggiore della Difesa centra il nodo della questione: “Riuscirà una vera coalizione anti Isis a vedere la luce? Grande, piccola, a la carte, a geometria variabile, o anche asimmetrica, purché ci sia? In teoria sembrerebbe di sì, perché nelle solenni dichiarazioni tutti la chiedono e nessuno la nega. Alla resa dei conti, l’operazione sembra invece problematica, improbabile, e a volte impossibile. Perché? Una prima risposta è che il ‘politicamente corretto’ – sempre condivisibile basandosi su grandi principi – collide con la realtà. Ovvero, più prosaicamente, con gli interessi ‘particulari’. Per accordarsi è necessario sedere al tavolo, gettare la maschera e vedere se c’è terreno comune”.
Come si realizza una vera alleanza anti-fanatici
Arpino ha evidenziato la necessità di un coordinamento autentico sul pianto militare: “Realizzare una vera coalizione significa, almeno sul piano militare – l’esempio riguarda le operazioni aeree, ma calza sempre – costituire un sistema di comando e controllo centralizzato, una sala operativa unica responsabile nell’assegnazione degli obiettivi, un sistema intelligence condiviso in grado di riportare in tempo reale l’esito delle missioni ed il grado di neutralizzazione degli obiettivi”.
Le divisioni in campo
“Al momento – ha concluso Arpino – tutto ciò è impossibile, perché non è stato ancora ben definito quale sia l’obiettivo che ha priorità assoluta per ciascuno dei membri. La verità è ancora coperta da almeno tre grandi foglie di fico. La prima si chiama Isis. Sono davvero i tagliagole, e per tutti, l’obiettivo prioritario? Da ciò che osserva, sembrerebbe di no. La seconda è la «responsabilità di proteggere», discussa all’Onu in più riprese, ma mai recepita nell’ordinamento degli Stati. Invocata in più occasioni, consente a ciascuno di camuffare impunemente tutto ciò che vuole. La terza foglia riguarda proprio l’Italia, e si chiama Libia. È qui che abbiamo licitato una futura azione di coordinamento e guida anche sul terreno, purché si verifichino condizioni che al momento sono irrealizzabili, o lontane a venire. Questa ipoteca ci consente per ora una presenza nella coalizione senz’altro importante, ma molto soft. Nulla da dire, ma non è così che si forma un’alleanza vincente. Putin è persona forse un po’ arrogante, ma con una strategia che persegue e sviluppa giorno dopo giorno. Non ha ragione, perché, in passato, l’Occidente è sempre stato in grado di realizzare coalizioni efficaci anche con alleati occasionali. Questa volta, però…”.