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I conservatori elogiano la Thatcher ma aveva poco in comune con la destra sociale italiana

by Antonio Rapisarda
9 Aprile 2013
in Corsivi, Esteri
1

margaret_thatcher_pop_artPer non farci mancare nulla in termini di “destr-uzione” non poteva mancare l’elogio post mortem della destra italiana per Margareth Thatcher. Certo, la Lady di ferro ha rappresentato una delle figure emblematiche della seconda metà del ‘900. Ed è stata, di sicuro, una conservatrice “rivoluzionaria” per la storia dell’Inghilterra in generale, e per quella dei tories in particolare. Ma che cosa c’entra la sua vicenda con quella italiana? Eppure, alla notizia della scomparsa, agenzie di stampa, dichiarazioni, epitaffi da parte di esponenti politici e commentatori con annessa la gara a dipingere l’ex premier inglese come uno dei punti di riferimento identitari di questa compagine. Vediamo allora di capire che cosa c’entra, se c’entra, in realtà.

È stato tirato fuori – da alcuni organi di informazione del centrodestra – l’elogio dell’anticomunismo della Thatcher. Tutto questo con un’analisi storica animata da un richiamo pseudoidentitario e infantile contro la “canea rossa”, come se a Londra si fosse combattuta una ridotta della Seconda guerra mondiale. Un anticomunismo invece – quello della Thatcher – che in realtà fa il palo all’antifascismo pregresso e costitutivo della cultura politica anglosassone. E il cui prodotto – come ha spiegato Rino Formica – tra le altre cose è stato trasformare l’Italia in un paese a sovranità limitata. Un anticomunismo alla Reagan, per intenderci, funzionale a garantire un ordine interno. Altro che Walesa.

Quale idea di Europa, poi, ha portato avanti la Thatcher? Certo, rispetto ai danni portati dall’Euroburocrazia, l’indipendenza economica di Londra può sembrare un’oasi di sovranità in questo momento. Ma quell’Inghilterra animata dalla lady, di fatto nostalgica di una passata grandezza, contenta di celebrare se stessa, totalmente e fieramente estranea a ogni forma di visione europea che non nascesse pro domo che cosa c’entra con l’Europa nazione che veniva invocata nei cortei della destra italiana?

Che dire poi della questione del Nord Irlanda. Anche qui siamo in presenza di un grande equivoco se la destra italiana (quella ufficiale, non è così per i movimenti giovanili o per le realtà non conformi) ha fatto il tifo per le ragioni dell’invasore inglese, dimostrandosi incapace di prendere una posizione netta addirittura contro le leggi speciali nelle carceri, contro la persecuzione politica della minoranza nazionalista e cattolica. E questa, il più delle volte, è la stessa destra che ricorda la vicenda dell’irrendentismo italiano in Istria, Dalmazia come la sacrosanta reazione a uno dei torti storici subiti dall’Italia.

E veniamo all’idea di socialità di Margareth. A un certo punto, complice anche il passaggio dal Msi ad An, a destra è arrivata la moda per la lezione politica anglosassone. Basta con la “Carta del Carnaro”, si diceva nei “circoli” (non si dovevano più chiamare “sezioni”), viva Von Haiyek. Sembravano diventati, insomma, tutti allievi ortodossi della scuola di Chicago, tutti pronti a benedire le ricette della rivoluzione liberale dell’amico della Thatcher Silvio Berlusconi. Bene, sono questi gli stessi thatcheriani che sono arretrati di fronte a ogni “bau” di una qualsiasi corporazione (dai tassisti ai farmacisti), diventando di fatto i protettori riconosciuti delle cento caste tanto combattute dai conservatori in Inghilterra. Sempre gli stessi thatcheriani, poi, nonostante più volte al governo, hanno dovuto aspettare la sinistra per conoscere una ventata di liberalizzazioni (vedi Bersani) o una legge – pessima – sul mercato del lavoro (la legge Treu). E sempre questi maledicono ora l’impianto economico nato proprio nella stagione e in ragione delle intuizioni della Thatcher.

La cosa più indicativa dei thatcheriani italiani, poi, è che non hanno dimostrato di possedere nemmeno una di quelle caratteristiche della Thatcher che – isolate dalla condotta – potrebbero suscitare anche fascino: il decisionismo, la capacità di difendere il profilo pubblico di una Nazione a qualsiasi costo. Risulta un accenno di questo nell’azione dei suoi epigoni? Prendiamo l’episodio controverso delle isole Falkland, difese militarmente dalla Thatcher in nome di un interesse nazionale che scavalcò e mise in discussione anche l’intesa con gli stessi Stati Uniti. Poi prendete i “mal-destri” italiani alle prese con la politica estera in questi ultimi vent’anni. È inutile dire altro…

Antonio Rapisarda

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