La vicenda dei due fucilieri, se si escludono quei soliti noti che non vale la pena nominare, continua ad essere nel cuore degli italiani. Non altrettanto costante sembra invece l’interesse della politica, che si è dimostrata alquanto indecisa in termini di obiettivi e di vie per perseguirli.
Ci siamo mossi, è vero. Ma lo abbiamo fatto in modo scoordinato, con linee d’azione che hanno vicendevolmente interferito e – la diplomazia segreta ci potrà sempre smentire – senza risultati visibili.
A parte il pasticciaccio iniziale – la presenza a bordo di militari su navi civili per effetto di una legge abborracciata – e le vicende oscure del dirottamento in Kerala, le incongruenze della politica ci sono tutte. A parte le furbizie iniziali, era subito apparso che le vie da seguire erano tre: negare la giurisdizione indiana, azionare in modo efficace una diplomazia bilaterale, magari accettando inevitabili compromessi, oppure internazionalizzare il caso. Cosa, quest’ultima, che non significa solo affidarsi agli organismi tecnici internazionali preposti (strada solo di recente intrapresa), ma soprattutto esercitare una pressione costante – non necessariamente con le buone maniere – all’interno delle numerose Istituzioni cui diamo sostanzioso contributo. Risultato? Una scelta decisa non c’è mai stata. Dal “processo indiano” ci siamo difesi in modo maldestro. Se lo avessimo voluto fare davvero – non oso dubitarlo – avremmo dovuto tagliare ogni rapporto con la magistratura indiana e le sue ordinanze. Non è stato così. Quindi, di fatto ne abbiamo accettato la giurisdizione.
Si è perduta l’occasione della presidenza del semestre europeo, che si è aperto senza che la questione dei fucilieri sia stata posta prioritariamente tra le pregiudiziali. Abbiamo portato la questione alla commissione di Diritto Internazionale dell’Onu, dove però è stata elegantemente snobbata. Ora stiamo sbandierando come un successo l’approdo al Tribunale del Mare di Amburgo, ma è un po’ poco.
Al momento, l’unica vera internazionalizzazione sembrerebbe l’inserimento di un celebre avvocato inglese nell’apposita commissione del nostro ministero degli esteri. Con quale gioia dei magistrati della ex-colonia di Sua Maestà possiamo solo immaginarlo. Intanto, il processo in Italia resta lontano… (da Quotidiano Nazionale)
*Generale AM, già Capo di Stato Maggiore della Difesa. Giornalista, collabora con QN e Affari Internazionali