Non può essere casuale che tutto inizi e finisca ad Atene. Che la democrazia europea nasca nel IV secolo avanti Cristo all’ombra del Partenone e, di fatto, finisca sempre lì, il 13 luglio del 2015. E non può essere casuale che le radici dell’Europa – che sono greche e romane, con una spruzzata di barbarità celta e longobarda casomai, altroché giudaico-cristiane – vengano ora estirpate con tanta veemenza e nessun interesse a millenni di storia e di pensiero comune.
L’accordo raggiunto a Bruxelles dopo un’estenuante maratona notturna è evidentemente un atto di violenza, un ricatto perpetrato dall’Unione Europea (pardon, dalla Germania) con la pistola puntata alla tempia della Grecia: concedere tre giorni di tempo per approvare «democraticamente» un pacchetto di riforme da macelleria sociale è l’equivalente della diplomazia delle cannoniere dei Paesi imperialisti di un secolo fa. Di più l’accoppiata Merkel-Schaeuble avrebbe potuto solo mandare i panzer in piazza Syntagma e i cacciabombardieri ad abbattere l’Acropoli.
Il ricatto ad Atene è la prova provata che nell’Europa che si pretende patria della democrazia, della tolleranza e dei diritti umani e civili, il parere del popolo non conta nulla. Non contano le elezioni dello scorso gennaio, che hanno mandato a casa gli europasticcioni (o euroladri?) di Pasok e Nea Demokratia eleggendo una coalizione anti-austerity, non conta nulla il referendum dello scorso 5 luglio con il quale i greci, in stragrande maggioranza, hanno respinto al mittente le proposte di lento strangolamento avanzate da Bruxelles.
All’orizzonte in Grecia Montis e Fornerakis
Ora nelle stanze dell’euroburocrazia e del Fmi si fa strada l’idea che a portare avanti le «riforme» non possa essere il governo Tsipras ma un esecutivo di tecnici. Come scrive il filosofo neo-marxista Diego Fusaro, una delle poche voci libere e controcorrente della sinistra italiana, «Si chiama Colpo di Stato finanziario. Un governo democraticamente eletto è ora giudicato illegittimo dal sistema bancario internazionale, che in nome delle “riforme” (in realtà in nome del tutelare se stesso) pretende di sostituirlo con un “governo tecnico” composto da suoi uomini». Quindi aspettiamoci l’arrivo dei professori, dei Montis e Fornerakis di turno per eseguire gli ordini della Trojka in spregio totale della volontà popolare.
Appare altrettanto evidente che il cosiddetto accordo ha anche lo scopo di umiliare e punire la Grecia per aver tentato di sottrarsi al giogo della Trojka. Gli antenati di Tsipras avrebbero detto che il premier ateniese ha peccato di hybris, cioè di superbia, sfidando gli Dei che non stanno più sul monte Olimpo ma, assai più banalmente, nel Reichstag di Berlino. E gli Dei si sono vendicati in modo crudele. Ed esemplare, castigando la Grecia affinché anche ad altri – Spagna, Italia, Portogallo e in qualche misura persino la Francia – non venga in mente di alzare la cresta.
Ma c’è un’altra lezione che si ricava dai fatti di queste ultime ore. E cioè – qualora ci fosse stato bisogno di altre prove – che l’idea di unità dell’Europa che aveva animato i «padri fondatori» è morta e sepolta. Come osserva Piero Visani, acuto analista di politica internazionale, «Ormai è evidente che i fautori dell’Eurolager sono anche gli affossatori di qualsiasi futuro di un’idea unitaria del Vecchio Continente. E forse, visto in questi termini, il loro ruolo non è così casuale. Al tempo stesso, si sta progressivamente confermando il primato della politica, visto che il concetto di un’Europa meramente finanziaria, del tutto sganciata da qualsiasi considerazione politica, ci sta portando tutti a fondo, è la distruzione dell’idea di Europa unita, non il punto di partenza della sua costruzione. Finirà malissimo, ma al tempo stesso finirà bene: sarà un disastro catartico e rigeneratore. Ecco perché non servono muri: perché il nemico è dentro le mura, non fuori».
Il nemico è dentro e mai come oggi appare chiaro che un’Europa a guida tedesca e nordeuropea, con il bilancino in mano, il mito del pareggio di bilancio e una visione ragionieristica del mondo, non andrà lontano. E’ filosoficamente incapace di affrontare le sfide della globalizzazione più feroce e selvaggia, come dimostra la totale inettitudine messa in campo negli ultimi anni dai vertici Ue nell’area del Mediterraneo, fra Libia, Tunisia, terrorismo islamico e ondate migratorie.
Il ruolo dell’Italia ridotta a comprimaria
Infine due parole sul ruolo dell’Italia. In realtà ne basterebbe una: inesistente. Ha ragione Pietrangelo Buttafuoco quando sostiene che al di là della frontiera di Ventimiglia o del Brennero Matteo Renzi conta come il due di picche. I negoziati sul caso Grexit hanno dimostrato che i potenti d’Europa non lo prendono neanche in considerazione e decidono alle sue spalle, concedendogli al massimo una comparsata quando c’è da fare la foto di gruppo. E poco importa che l’Italia sia una delle nazioni fondatrici dell’Unione Europea, che rimanga una delle principali economie del continente nonché la seconda industria manifatturiera europea. E che sia il terzo creditore del debito greco. Quando si tratta di decidere, si incontrano Hollande e Merkel e poi si fa come dice quest’ultima. Punto. Renzi a casa a giocare con la playstation.
Le borse hanno salutato con il rialzo il raggiungimento di un accordo sul debito greco, come è giusto che sia in un mondo dominato dalla finanza. Vedremo ora come reagiranno i greci, perché non è ancora detta l’ultima parola. Forse chineranno la testa, stanchi di tante bastonate e con la prospettiva di tirare a campare ancora per un po’. Oppure vedendo arrivare i miliardi della Bce ripenseranno ai loro straordinari autori del passato, loro sì veri «padri fondatori» del pensiero europeo, che oltre duemila anni fa avevano già capito tutto. Al cavallo di Troia narrato da Omero nell’Iliade e a quel verso di Aristofane, nella commedia Le rane (scritta nel 405 avanti Cristo):
«Non puoi sperare che ti salvino le stesse persone che ti hanno distrutto».