Dovrò, per motivi di maggior impegno e di minore incompetenza, dedicare un po’ più di attenzione al califfo & Co. Solo due parole quindi sulla Grecia. Più che due parole, una doverosa e dolorosa dichiarazione di fede.
L’Europa è morta, viva l’Europa, dicevo pochi giorni fa. Lo ripeto. Se vogliamo salvare l’Europa e la sua unità (ch’è tutta da costruire), l’Unione Europea va abbattuta e rifondata. Non sono affatto un lettore devoto di “Repubblica”, ma quel che negli ultimi giorni ci hanno proposto su quel quotidiano Habermass, Krugman e la Spinelli è sostanzialmente esatto e sottoscrivibile. Che sia stato un crimine volontario o un tragico e grottesco errore, il fatto è che non si sarebbe mai dovuto procedere a una “unificazione” economica e monetaria dell’Europa senza prima aver messo a punto al sua unificazione politica. E non andiamo a tirar fuori alibi inappropriati: lo Zollverein non fu per nulla un precedente dell’unità tedesca, senza la forza e la lucidità politica della Prussia bismarckiana non sarebbe successo un bel niente. Ma nel caso della UE ha purtroppo vinto, una volta di più, il peccato originale della Modernità: il primato dell’economia. Ci siamo illusi – e qualcuno ha voluto illuderci – che dopo l’Eurolandia sarebbe arrivata deterministicamente, fatalmente, l’Europa.
Non era vero. E adesso, ha forse ragione chi paventa l’esito del plebiscito greco del 5 luglio. Perché i casi sono due: o la spunta Tzipras (mi chiedo poi perché lo si debba scrivere alla francese…); e allora è un salto nel buio che potrebbe davvero preludere a una tragica reazione a catena che coinvolgerebbe per prime Spagna, Portogallo e Italia; o la spuntano i partiti della destra che chiedono invece il reallineamento alla volontà dei banchieri che governano l’Eurolandia, i sacrifici ad ogni costo e il ritorno all’austerity, e allora nella migliore delle ipotesi il salto nel buio è solo rimandato.
Resta comunque certo e inevitabile che quest’Europa vada distrutta e rifondata. Ma come, con quali fasi, con quali metodi, questo è un altro discorso. Partiamo da poche semplici considerazioni e proviamo a ragionare.
Primo. A prescindere dai suoi stessi errori, non si doveva portare il governo Tzipras all’esasperazione e alla disperazione. Se l’Europa fosse quel che dovrebbe essere, non una “Unione” bensì una Comunità, la prima legge da rispettare sarebbe quella della solidarietà tra i paesi che ne sono membri. Quando in una qualunque comunità, dalla famiglia al condominio, c’è un debitore in cattive acque ma che dichiara di voler pagare, la prima misura è concedergli credito e respiro. Chi ha stabilito i ritmi e le scadenze di restituzione ai quali la Grecia dovrebbe sottostare? Si tratta delle ferme regola cosmiche o delle “ferree leggi del mercato”? Di pubbliche esigenze o d’interessi e di profitti privati, visto che a gestire l’euro sono, tramite la BCE, dei privati?
Secondo. Se è vero che un certo deficit è indice di salute economica, produttiva e politica, quando si eccede c’è pericolo: d’accordo. Ma l’ossessione del “pareggio di bilancio” non si è già rivelata una grottesca illusione fino dai tempi di Quintino Sella?
Terzo. Sarà senza dubbio vero che non ci sono soldi e che si debbono contenere le spese: ma allora, perché non rivediamo radicalmente e capitolo per capitolo i nostri capitoli di bilancio? Prendiamo l’Italia: se i dati e i calcoli proposti da Gino Strada sono veri, il nostro governo spende un miliardo di dollari all’anno per mantenere 4000 nostri militari in Afghanistan. E io ho fatto un sogno: una bella mattina di lunedì il Rottamatore si sveglia di buon’ora, più presto del solito; parte a razzo dalla sua Pontassieve, se corre alle 8,30 è già a Palazzo Chigi, convoca i ministri degli esteri e della Difesa e nel giro di poche ore dispone il ritiro dalle montagne e dai rocciosi passi afghani dei “nostri quattromila ragazzi”. Loro delusione per la perdita di sostanziose diarie, disperazione per la fine di ricche commesse militari e logistiche, sconcerto negli alti gradi delle nostre Forze Armate. E il miliardo così risparmiato lo passiamo alla Grecia (che con noi è già scoperta di parecchi altri soldi) per saldare la prima rata del suo disavanzo. Così, in un colpo solo, la facciamo finita con i postumi della nostra vergognosa complicità con l’aggressione di Bush all’Afghanistan nel 2001 e diamo una mano a una nazione sorella contro i pescicani della BCE.