Sinuosa, ancheggiante e rubacuori è la donna felliniana.
Un genere stretto in un appellativo: la Gradisca.
Il cinema di Fellini, quello onirico che lascia fluire l’inconscio al posto della narrazione, porge l’addio a Magali Noël.
Fanny, la ballerina de “La dolce vita”, Fortunata, la moglie di Trimalcione nel “Fellini_Satyricon”, sono le due figure che anticipano l’arrivo di una femminilità tracotante: la parrucchiera di provincia.
Lei è Ninola, in arte La Gradisca.
Il titolo, accaparrato ingenuamente durante un episodio al Grand Hotel di Rimini, “Signor Principe, Gradisca”, diviene nel film e oltre il cinema, il tratto distintivo di un modo di essere donna.
La Gradisca è il sogno carnoso e mitologico degli abitanti del borgo. Un ripercorrere il passato del regista, dove la femmina seppur festeggiata da una sessualità invadente, non è ancora aggressiva come nel femmineo de “La città delle donne”.
Donna come traccia della sessualità dei tempi.
La Gradisca è sogno sognante: vagheggia un amore con il divo del cinema. Le sue passeggiate serali, nel rosso del vestito e in quello degli sguardi, portano tutte nella stessa direzione: Gary Cooper.
Ma il fluire nei ricordi del piccolo centro, è interrotto dalla realtà del vento che trascina altrove, per mezzo delle “manine”, quei pensieri proibiti e irrealizzabili.
La Gradisca è la diva delle visioni di un borgo e la donna che si umanizza nel matrimonio con un carabiniere.
“Amarcord” come espressione dialettale romagnola “a m’arcord”, mi ricordo, disegna la dimora della memoria.
Quel passato dove i desideri adolescenziali possono tornare a vivere.
Ma il film è anche un congedo a quel momento che divenuto luogo, rischia di restare incollato per sempre.
Così come resta saldato al nome di Magali Noël, l’appellativo festoso de La Gradisca.
Entrando di diritto nella galleria dei personaggi femminili di Fellini, l’attrice torna a vivere nei sogni e saluta il più terreno dei borghi.
Magalotta per Federico Fellini, “Gradisca” per sempre.