Romano Gasparotti è docente di Fenomenologia dell’immagine presso l’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano. Ha anche insegnato Ontologia fondamentale all’Università San Raffaele della stessa città E’ stato allievo e assistente di Emanuele Severino all’Università di Venezia. Nel 2011, il suo interesse per le forme del fare ed i fenomeni artistici, in particolare contemporanei, lo hanno indotto a fondare il movimento DIASTEMA. Per un’arte festiva. E’ curatore con Massimo Donà del corpus inedito dei Quaderni del filosofo Andrea Emo. Tra i suoi numerosi lavori, ricordiamo i seguenti: I miti della globalizzazione, Dedalo, Bari 2003; Figurazioni del possibile, Cronopio, Napoli 2007; Filosofia dell’eros, Bollati Boringhieri, Torino 2007; L’inganno di Proteo, Moretti&Vitali, Bergamo 2010. Nel novembre scorso ha partecipato in qualità di relatore al Convegno romano L’Eredità di Evola. E’ da poco nelle librerie la nuova edizione del volume di J. Evola, L’Individuo e il divenire del mondo, curata da G. de Turris per le Edizioni Mediterranee, che si apre con un suo significativo saggio introduttivo. Ci ha concesso, sulla filosofia di Evola, l’intervista che segue per i lettori de il Borghese (ripresa qui su Barbadillo.it).
Nel saggio introduttivo a L’Individuo e il divenire del mondo Lei ha sostenuto che la “filosofia, per Evola, è tale solo quando viene messa all’opera”. Può, in breve, spiegare questa sua affermazione?
“Si è soliti guardare ad oriente alla ricerca di un pensare, che sia autorealizzativo, nella consapevolezza che la filosofia occidentale abbia una prevalente natura teoretica, nell’accezione letterale del termine, ovvero dedita alla pura contemplazione dell’Essere o del Principio primo. L’opera di Julius Evola mostra, invece, come la filosofia, quale fenomeno squisitamente occidentale, sia, nella sua profonda natura, esercizio di pensiero che si fa mondo e insieme un complesso di pratiche volte alla realizzazione di sé da parte di un individuo, che può affermarsi come tale solo in quanto assoluto e non-identitario. Il fatto è che solo in rari casi la filosofia occidentale dominante è riuscita ad essere coerente e conseguente rispetto ai suoi ineliminabili presupposti, a causa della tendenza a cadere in quella “malattia” metafisica – denunciata in diversi modi da Nietzsche(e poi declinata da Heidegger) e da Bergson – che è responsabile di tutte le degenerazioni di tipo logocentristico e videocentristico, che ancora oggi costituiscono il “pensiero unico” dell’occidente. A tale riguardo, la messa all’opera della filosofia compiuta da Evola – quale inevitabile inveramento dell’ iniziale periodo artistico-avanguardistico dell’autore – non fa altro che riportare la filosofia alla sua origine e vocazione musaica, attraverso la più radicale quanto oltremodo necessaria delle terapie. La quale ripristina, oltretutto, quella positiva “tensione” creativa – non ancora divenuta separazione né opposizione – tra Oriente ed Occidente, la quale è venuta definitivamente meno col tramonto di quella che Nietzsche aveva definito “epoca tragica dei Greci”. Potremmo, perciò, dire che il pensiero di Evola, nella sua indubbia originalità, non rappresenta affatto un fenomeno isolato né eccezionale, proprio perché finalmente porta a compimento ciò che la filosofia in quanto tale avrebbe dovuto essere, ma quasi mai è stata. Una tale messa all’opera evoliana della filosofia mostra come l’inesauribile potenza spermatica(nell’accezione stoica) del pensare si inaridisca e diventi sterile, ogniqualvolta si declini esclusivamente come conoscenza di oggetti ed elaborazione e concatenazione di concetti quali segni degli oggetti stessi. Perché il pensare è azione, che si mette continuamente all’opera, ritmandosi sempre in corso d’opera”.
Quali sono, a suo giudizio, gli elementi speculativi più rilevanti ed originali che emergono dalle pagine de L’Individuo e il divenire del mondo?
“Questo libro, dal rigore davvero adamantino, offre già una dottrina compiuta del “risveglio”, la quale indica la via da intraprendere al fine di persuadere il mondo a farsi l’atto stesso dell’individuo in quanto assoluto, nella misura in cui esso è destinato a super-potenziarsi indefinitamente. Questa è anche l’opera in cui Evola mostra come la sua sia l’unica concezione e pratica possibile della libertà, la quale non può ridursi al semplice non essere condizionati da altro, né alla passiva accettazione di una legge universale eterna ed immodificabile, bensì si realizza positivamente nel fare quale esercizio di una “agilità assoluta” da parte di colui che, ogni volta, si fa tutto in quanto può tutto, nel senso di una possibilità che non è affatto altro dall’impossibilità. E’ inoltre, anche un libro, che prepara concretamente un “nuovo inizio” del pensare, secondo una prospettiva assai più radicale di quella solo annunciata – e in fondo ancora logocentrica – da Heidegger attraverso la teoria del Ge-Stell e nei Beiträge”.
Qualche interprete ha colto una prossimità tra la concezione dell’Assoluto evoliano e quella di Croce, in quanto per entrambi l’Assoluto sarebbe l’unico protagonista della storia. E’ così, o tra i due filosofi ci sono differenze sostanziali?
“Nell’ambito della teoria filosofica si può dire tutto, purché sia adeguatamente argomentato e logicamente dimostrato, ma non è questa la prospettiva di Evola, proprio perché, per lui, la filosofia è tale solo nella misura in cui viene messa all’opera al di là del piano meramente semantico-concettuale e logico-discorsivo. La concezione dell’assoluto di Croce rientra in pieno nell’ambito di quelle che Bergson aveva chiamato “filosofie semantiche”(le quali non possono che produrre visioni letteralmente meta-fisiche, nell’accezione più negativa del termine), mentre quella di Evola, semmai, è una prassi dell’assoluta relazionalità, più vicina, per certi aspetti, agli insegnamenti del Buddha, piuttosto che alla concezione crociana della storia”.
Al contrario, è possibile rintracciare una prossimità tra l’Evola filosofo e le posizioni speculative di Andrea Emo? Quali?
“C’è un convergere all’opera tra la filosofia di Evola e quella ultraattualistica di Andrea Emo. E non solo per il fatto che entrambe si pongano oltre i limiti dell’attualismo quale inveramento ultimo dell’idealismo dialettico hegeliano, ma anche perché entrambe sviluppano una parallela impietosa e implacabile critica e decostruzione della modernità. Per quanto, da un lato la filosofia di Evola è molto più articolata e, per così dire, multipolare – mi verrebbe da avvicinarla addirittura, per taluni aspetti, a quella di Deleuze – rispetto a quella di Emo ossessivamente concentrata a scavare sempre le stesse questioni fondamentali e, dall’altro, il sistema di Emo è molto più stabile e internamente coerente, nel complesso, di quello di Evola. E’ un mio giudizio personale, che il pensiero di Evola, a partire dalla fine degli anni ’30, interrompe la sua danza dionisiaco-apollinea, nel tentativo, come ammise l’autore stesso, di riportare l’Individuo assoluto “da solitarie altezze astratte e rarefatte nella concretezza della storia”. Una storia, però, interpretata secondo l’astratta dialettica tra l’autenticità della tradizione positivamente intesa e l’inautenticità della modernità. Col risultato di esporsi a delle cadute di carattere meramente teorico-culturale e politologico, nello sforzo di voler abbracciare e incorporare ad ogni costo proposte in fondo allotrie, come, in primis, la dottrina guenoniana della tradizione( che non corrisponde affatto all’originario pensiero evoliano della tradizione stessa quale emerge già dalle pagine de l’Individuo)”.
In conclusione, qual è il suo giudizio generale sull’idealismo magico? La filosofia di Evola può svolgere un ruolo rilevante quale strumento di lettura e decodificazione della complessità contemporanea?
“A livello di dibattito filosofico contemporaneo serio, uno dei temi oggi più dibattuti è quello legato al crescere della “povertà d’esperienza” – che ora si è globalizzata – secondo la celebre denuncia benjaminiana del 1933. Al proposito, la filosofia evoliana dell’idealismo magico, elaborata prima della denuncia benjaminiana stessa, non solo fornisce una ben precisa diagnosi delle cause di tale miseria esperienziale, ma anche propone la più radicale terapia per superare la progressiva sterilizzazione di ogni esperienza esistenziale dell’esistente stesso. Un altro dei temi oggi più dibattuti, nell’ambito della filosofia continentale, riguarda il come liberarsi della leviatanica macchina teologico-politica, che continua a dominare e predeterminare, a tutti i livelli, ogni espressione del nostro pensare/fare. Anche in questo caso, l’idealismo magico di Evola rende tale macchina inoperosa, senza contrapporvisi frontalmente e senza negarla, bensì volendone fino in fondo gli esiti e portando tale volontà a volere oltre sé stessa. In un modo, se vogliamo, piuttosto vicino a quello taoista del wei wu wei. Infine, l’idealismo magico di Evola è anche una filosofia all’opera, nella quale gioca un ruolo originario e di primo piano l’immagine, in sintonia, ma con maggior rigore e profondità, con le riflessioni di Ludwig Klages sulla “realtà dell’immagine”.
Concluderei dicendo che chi ama veramente la filosofia non può disinteressarsi del pensiero di Evola e non può non leggere le opere del “periodo filosofico”, tra le quali l’Individuo e il divenire del mondo spicca come una preziosissima gemma”.