C’è un regista poco più che trentenne che, con una telecamera basica, le ruote di uno skate come carrello, un computer di tredici pollici e una felpa verde attaccata al muro della sua stanza per gli effetti speciali, ha realizzato un lungometraggio in quattro anni, tutto da solo. Lui è il siciliano Vincenzo Cosentino, il film si chiama Handy e la sua sfida è quella di arrivare nei cinema in maniera indipendente.
Vuole raccontare le sue storie senza svendersi, anche a costo di dover fare tutto da sé e così si è messo su Kickstarter, lanciando un crowdfunding per raccogliere, entro il 13 giugno, i trentamila dollari che gli servono. È uno che non molla nella convinzione che se rifiuti di adeguarti a una situazione che non ti soddisfa o che trovi ingiusta, se fai qualcosa di concreto per raggiungere un obiettivo, e perseveri nonostante le difficoltà e nonostante le porte chiuse, alla fine riuscirai. Come Handy.
Handy è una mano destra che, ignorata per trent’anni dal suo padrone che scrive pessime storie con la mano sinistra e non tiene in conto la sua voglia di emergere, a un certo punto si stufa, decide di staccarsi da quel corpo e di andarsene via, cercando di diventare uno scrittore con le proprie forze. Lavora in una pizzeria, si innamora, fa il giro del mondo, ispira una rivoluzione, vive tante esperienze – come le ha suggerito di fare Frank the Black (Franco Nero) per trasformare il suo sogno in realtà. «È la storia della mia vita sotto forma di una mano – racconta Cosentino – ma può essere anche la storia di chi, in Italia, cerca di emergere e, dovendo spesso subire che la “mano sinistra” prenda il suo posto, e ciò che merita, alla fine è costretto a scegliere: o rimanere e adeguarsi o staccarsi dal corpo e provare una via alternativa».
Vincenzo ha scelto l’alternativa. Dopo una laurea in Economia, nel 2007 lascia Catania e vola in Australia dove segue contemporaneamente i corsi di due diverse scuole di regia. «Ma, siccome ancora non mi sembrava che bastasse per prepararmi, iniziai a ordinare video tutorial su eBay con i quali imparare a utilizzare gli effetti speciali e il montaggio». Trascorre così un anno e, con la telecamera sempre in azione, gira i primi cortometraggi, tutti autoprodotti. Con uno di questi concorre a una competizione di categoria del Festival di Cannes, dove vince il primo premio come regista di The Flip Trip. È il 2008.
Con i soldi del riconoscimento, tredicimila euro, finanzia i suoi corti successivi, fin quando nel 2009 non arriva Being Handy, un corto che partecipa a svariati concorsi dove viene sempre notato, apprezzato e spesso premiato. Basterà questo per trovare un produttore che ne finanzi la trasformazione in un lungometraggio? No. «Il fatto è che quando sei un regista e devi fare il tuo primo film, o hai un curriculum consistente di corti e di spot pubblicitari, o hai un nome importante dietro, oppure i soldi non te li danno. Io non avevo niente di tutto questo. Con tali premesse, mi scontrai con la diffidenza di chi non voleva dare un budget a un giovane intenzionato a fare un film di effetti speciali e inconsueto». Per un po’ demorde.
Al Miami International Film Festival, però, cambia qualcosa. «Avevo presentato lì il mio Being Handy, ottenendo una menzione speciale. Tra i presenti c’era Franco Nero che si disse colpito dall’originalità del lavoro e mi propose il suo contributo se un giorno avessi trovato un produttore per farne un film». Un’opportunità come questa non può farsela scappare, questo giovane venuto dalla Sicilia, una terra bella ma spesso avara di grandi occasioni. Un mese dopo è a Roma dall’attore protagonista di Django con il copione dettagliato scritto per lui, ottenendone non soltanto la partecipazione senza cachet – benché il produttore non lo avesse trovato – ma pure il consenso a girare il film a Siracusa, la sua città di origine. Per Cosentino, infatti, è fondamentale che questo film di animazione ed effetti speciali venga realizzato laggiù, «per mostrare una Sicilia diversa rispetto a quella de Il Padrino conosciuta Oltreoceano», dove vuole arrivare.
«Filmammo per tre giorni a casa di mia nonna, in un set che avevo preparato prima, senza una troupe e con l’aiuto di due amiche, una fotografa e l’altra medico». Dopo le riprese, Vincenzo comincia a lavorare con un taglia e cuci artigianale reso difficoltoso dagli scarni mezzi a disposizione. «Avevo un laptop di tredici pollici per realizzare da solo gli effetti di tutto il film e un hard disc che non riusciva a supportare l’Hd e mi costringeva a fermarmi spesso perché si surriscaldava. Poi, siccome la mia telecamera non captava i colori reali, molte volte ricreavo lo sfondo con Photoshop e, essendo in questo un perfezionista, a volte arrivavo a 75-80 layer, così il computer si spegneva o si bloccava, costringendomi a rifare quello che non era stato salvato». Al regista servono quattro anni per finire, nel 2013.
Il risultato è un propositivo, epico e poetico film, curato nei dettagli e apprezzato in tutte le manifestazioni in cui è andato. Girato in lingua inglese, viene selezionato – tra migliaia di aspiranti – in festival importanti come Austin, Cleveland, Atlanta. Un consenso che porta anche le prime proposte, ma che Vincenzo rifiuta: «Sapevano come lo avevo fatto, con un budget di soli tredicimila euro, che per un film di effetti speciali non è niente, e cercavano di comprarmelo a cifre e a condizioni che non potevo accettare, perché non tenevano conto di tutto quel lavoro». Da qui, la decisione di continuare a fare da solo e di lanciare una raccolta fondi popolare, grazie alla quale poterne mantenere i diritti e portarlo al cinema in maniera indipendente e alle sue condizioni.
Una decisione in linea con due diversi piani di lettura del film: l’importanza del modo in cui si agisce per contribuire a far cambiare le cose e «l’affermazione della propria indipendenza, del proprio valore. A prescindere da come andrà la raccolta fondi – conclude Cosentino -, il messaggio che rimarrà, anche per il bambino che domani diventerà un ragazzo, è che se Handy è riuscito a fare tutto ciò, chiunque potrà farcela». Perfino la scelta di Kickstarter è indicativa del modo di pensare di questo giovane regista: «È l’unica piattaforma di crowdfunding in cui, se non arrivo alla cifra che voglio raggiungere, a rimetterci sono soltanto io perché non prendo nulla, mentre chi ha partecipato per aiutarmi viene tutelato, perché la sua somma non viene prelevata».