Nelle Tempeste d’Acciaio è il libro (solitamente) più snobbato di Ernst Junger. Il motivo è facile da individuare e si nasconde dentro la sua stessa natura: l’opera, infatti, è la riedizione del diario che tenne durante la Grande Guerra lo scrittore tedesco, impegnato nel reggimento “Gibilterra” sul fronte francese. Una chanson de geste, una saga bellica – e il titolo, difatti, a un poema medievale islandese fa riferimento – e niente di più. Se mai, con qualcosa di meno. L’esaltazione patriottica, per esempio. Uno sguardo superficiale potrebbe indicare nella sconfitta finale della Germania la causa dell’assenza di pathos nazionale. Forse è troppo poco per un’opera che ha il merito di raccontare, senza ipocrisia e retorica, la vita sul fronte riportando, tra le righe, il racconto della morte della vecchia, opulenta e tronfia Europa della Belle Epoque.
Più che una chanson de geste, perciò, “Nelle Tempeste d’Acciaio” può essere letta come la cronaca di un lutto. Da cui l’Europa non si è mai più ripresa. Tra il ’14 e il ’18, il mondo germanico dei Von e degli Zu venne spazzato via, insieme all’utopia millenaria dell’eterna decadente Austria-Ungheria, all’autocrazia degli Zar di tutte le Russie. Alla revanscista grandeur di Francia venne assestata la mazzata finale, l’impero britannico dovette violentare sè stesso e ringraziare devotamente gli odiatissimi yankees per il loro decisivo intervento. E l’Italia perse la verginità politica finendo umiliata a Versailles. Storia nota e da quel punto decisivo della storia l’Europa ha cominciato a perdere tutta la sua centralità.
L’attualità del saggio di Junger
“Nelle Tempeste d’Acciaio”, oggi, mantiene intatta la sua attualità. Sotto la cenere dei ricordi di guerra, dei piccoli e grandi eroismi in trincea, sotto la scorza di una narrazione spoglia, scarna e “quotidiana” cova la brace dell’umanità europea. Le battaglie, intense e feroci, in cui si fece ricorso a tutto pur di piegare la pervicace resistenza del nemico. Da una parte e dall’altra. Gas, bombardamenti, morti lasciati a marcire e topi rimasti a ingrassare. Ma quello che non viene meno è il fatto che, quando le armi tacciono, un rigido codice cavalleresco regola i rapporti tra le trincee. Anche sul fronte più crudele, violento e inumano della Grande Guerra, i nemici finiscono per rispettarsi. Non si legge una sola riga d’odio, nelle oltre trecento pagine di Junger. Esaltazione guerriera, quella sì. Oggi una cosa del genere desterebbe scandalo.
Lo scandalo è nascosto nell’architrave stessa della “gestione” della politica internazionale oggi. La guerra, come la morte, è tabù nell’Occidente. Ciò non vuol dire affatto, però, che non si faccia più. Anzi. Tuttavia ogni battaglia va nascosta, altrimenti si cola a picco nei sondaggi. Quando proprio non si può far a meno di uscire allo scoperto, la guerra va camuffata. E perciò la cosiddetta pax (?) americana si regge sulla farsa dello sceriffo globale: ogni operazione militare viene concepita, divulgata e portata a termine come se si trattasse di un’operazione di polizia. I marines si trasformano in altrettanti poliziotti che riportano l’ordine nelle aree più tribolate del pianeta. Esportare la democrazia è raffinata metafora che introduce la storia del poliziotto buono autocraticamente autorizzato a intervenire quando e dove vuole è il caposaldo della globalizzazione che porta in grembo la sistematica violazione delle sovranità. Fatto di cui, solo ora passata e smaltita la sbornia reaganiana rilanciata dalla tragedia dell’11 settembre, ci si comincia ad accorgere. Tacere bisogna, poi, di tutte le guerre in atto che, lontane dal crepitio del fucile e dal boato delle bombe intelligenti, si disputano sul fronte più caldo di tutti, quello dell’economia e delle risorse mondiali. Battaglie a colpi di Opa e di clic di cui si sa sempre di meno perchè, piano piano, sono sempre meno le persone che sanno, devono o vogliono spiegarle agli altri.
La lezione di Junger, a cent’anni dallo scoppio della Grande Guerra, è ancora utile per leggere l’attualità. Perché, seppur vinti come la Germania del Kaiser, si può conservare dignità e onore. Perchè combattere sarà un destino ma prevede delle regole che investono prima l’individuo e poi la sua comunità. Prima tra tutte quella della responsabilità e della franchezza, di essere uomini e donne del proprio tempo capaci di affrontare tutto senza essere costretti a inventare astruse categorie per nascondere l’evidente. E da quelle regole, quelle del coraggio e dell’intelligenza, che bisogna ripartire per resistere al tempo della sfida più difficile di tutte, quella contro il pensiero unico.
*Nelle Tempeste d’acciaio, di Ernst Junger, Guanda, pagg. 329, euro 22