Centottanta metri di altezza e due chilometri di larghezza sono le impressionanti misure della nuova muraglia cinese: la Diga delle Tre Gole. Completata nella provincia di Hubei nel 2008 e costata 26 miliardi di dollari, il bacino artificiale dalla diga (una superficie di 1.000 kmq, tre volte il Lago di Garda) produce 22.5 GW: il triplo della centrale giapponese di Kashiwazaki-Kariwa, il più grande impianto nucleare del mondo. Ma perché i cinesi hanno deciso di costruire un mostro del genere?
La stabilità politica e sociale della Cina nel futuro dipenderà dalla capacità di far proseguire la crescita economica e questa crescita chiederà sempre maggiore energia: la previsione tra il 2012 e il 2035 è un aumento della richiesta del 60%. Il Governo Cinese lo sa bene e ha deciso di raddoppiare entro il 2035 la quota di energia idroelettrica sul totale per ridurre la dipendenza dai carburanti fossili. E per fare questo, Pechino ha bisogno di dighe.
Nel mondo le dighe oggi sono 50.000: 6.500 negli USA, 4.200 in India, in Cina ben 23.000. E il numero aumenterà ancora. Particolarmente gettonato per la costruzione di dighe è il Jinsha, un affluente dello Yangtze che scorre per circa 2.000 km tra le strette gole delle montagne del Sichuan e dello Yunnan.Un fiume bellissimo e molto amato dai cinesi che però entro pochi anni avrà una diga ogni 100 km.
Questa indiscriminata costruzione di dighe sta producendo un gran numero di spiacevoli conseguenze. La diga di Zipingu sul fiume Min, ad esempio, è ritenuta colpevole del terremoto che nel 2008 ha causato 80.000 morti e 5 milioni di senzatetto nel Sichuan: il bacino è stato costruito su una faglia e l’enorme peso dell’acqua ha innescato il tragico evento sismico.
Le dighe inoltre compromettono l’ecosistema faunistico dei fiumi (mettendo in grave difficoltà i pescatori), danneggiano i raccolti dei campi, modificano i ritmi delle piene, riducono i nutrienti dell’acqua, alterano la quantità e la qualità di detriti trasportati a valle dal fiume. Per non parlare, nel caso della Cina, dei milioni di persone “invitate a trasferirsi” altrove per lasciar spazio ai bacini artificiali.
Abbiamo fin qua parlato delle necessità energetiche, ma le dighe possono anche conservare e raccogliere l’acqua potabile della quale nei prossimi anni la Cina avrà sempre più bisogno: pur ricca di acqua fresca in termini assoluti, è infatti ampiamente sotto la media mondiale (2.000 m³/anno procapite contro 6.000) ed entro il 2025 la richiesta nazionale cinese sarà di 1100 miliardi di m³/anno, contro gli attuali 873.
Come mai? Il 65% dell’acqua dolce cinese è usata per l’agricoltura e la produzione nei prossimi anni risentirà della crescita demografica, del maggior inurbamento e di quelle variazioni nella dieta che derivano dall’aumento della ricchezza: i cinesi mangeranno più proteine, sia vegetali che animali, le quali richiedono più acqua per essere prodotte rispetto ai cereali.
L’irrigazione selvaggia e l’abuso di risorse idriche dalla galoppante industria cinese hanno però portato alla scomparsa di 20.000 fiumi negli ultimi 60 anni e prosciugato specialmente il nord del paese. Il governo ha così avviato il più costoso progetto di costruzione della storia: 65 miliardi di dollari per la canalizzazione di una cospicua parte dello Yangtze verso settentrione e il collegamento di questi canali con una dozzina di bracci minori e laterali che trasporteranno ciascuno circa 36 miliardi di m³/anno (il Po ne muove 48). Ma disseterà la Cina? La risposta a questa domanda non è scontata e preoccupa anche India, Bangladesh e Indocina.
Perché dovrebbero preoccuparsi i vicini della Cina? È presto detto: sapevate che nove dei dieci maggiori fiumi dell’Asia nascono in Tibet, ovvero nel territorio della Repubblica Popolare?