Se non ci fosse da piangere, ci sarebbe da ridere. La sudditanza degli eurocrati atlantisti agli interessi americani è tale da non fermarsi neppure davanti al ridicolo. Accade in queste ore, con l’apertura da parte della Antitrust europea a danno del colosso del gas russo Gazprom, di una procedura per “abuso di posizione dominante”.
In cosa consista l’abuso non deve essere chiaro neppure ai solerti funzionari europei considerando la nebulosità di quanto emerso fino ad ora sulle agenzie di stampa. In buona sostanza sembrerebbe che la UE contesti all’azienda russa di avere imposto a 5 paesi membri della stessa (Polonia, Bulgaria, Estonia, Lettonia e Lituania) contratti che determinano per i clienti prezzi troppo onerosi, a causa dell’agganciamento del prezzo del gas a quello del petrolio.
Ipotesi strampalata, non perché ciò non sia vero, ma perché si tratta di una prassi assai consolidata in questo tipo di contrattualistica, sistematicamente praticata – tanto per fare qualche esempio concreto – dall’Algeria come dalla Norvegia senza che nessuno abbia avuto nulla da eccepire.
D’altra parte se è vero che può succedere che il prezzo del gas derivante da un accordo contrattuale di questo tipo finisca per essere superiore a quello praticato sul mercato libero (il cosiddetto “mercato spot”, una sorta di last minute dell’energia) è altrettanto vero che – per esempio in questi ultimi mesi – a fronte del sistematico crollo del prezzo del petrolio sui mercati internazionali, il prezzo del gas contrattuale è risultato sistematicamente competitivo anche rispetto a quello del mercato libero, dunque non si capisce in cosa consista lo scandalo e soprattutto l’ “abuso”.
Qualche buontempone ha sollevato la questione della partecipazione, da parte di uno o due dei paesi “danneggiati”, alla costruzione di un gasdotto per portare il gas a destinazione: partecipazione che gli sarebbe stata “imposta” sfruttando la famosa posizione dominante. Peccato che negli ultimi dieci anni non mi risulti esistere casistica di oleodotti o gasdotti che interessino più di un paese e nella cui proprietà e gestione non siano partecipi – sia pure con percentuali diverse – tutti i paesi coinvolti.
Insomma, l’intera pratica sembra chiaramente costruita a tavolino e con elementi davvero fragili per non dire pretestuosi.
Non occorre essere esperti di politica estera per capire le ragioni geopolitiche di questa inutile contrapposizione: l’ennesimo sgarbo anti-russo in linea con la politica americana di contrasto a Putin. Peccato che anche in questo caso, come in quello delle famose sanzioni che costano quotidianamente ai paesi europei milioni di euro di mancate esportazioni, lo zelo atlantista degli euroburocrati si traduca in una palese forma di autolesionismo, alla faccia dei reali interessi dei propri cittadini.