Zeman si dimette da allenatore del Cagliari. Il boemo non finisce mai di stupire gli amanti del mondo della pelota.
Churchill diceva che “gli italiani perdono le guerre come se fossero partite di calcio e le partite di calcio come se fossero guerre”, e ci aveva preso di brutto perché, a parte brevi parentesi dedicate all’amministrazione della Polis e alle relazioni internazionali, gli italiani sono effettivamente un popolo di grandi allenatori. È una tentazione occupazionale, quella di mettersi nei panni di ogni tecnico, che tocca almeno la totalità degli appassionati di calcio; la densità aumenta nei periodi clou come i Mondiali, dove anche gli occasionali e le occasionali per eccellenza, scarsi conoscitori di regole fondamentali come il fuorigioco o la divisa di trasferta, tendono a dire la propria. Lasciarsi andare nel manifestare la propria opinione tecnica è una cosa naturale, perché sono vicende che appassionano chi porta nel cuore i colori di una squadra e pretende che essa vinca.
L’addio di Zeman al Cagliari
Zeman ha lasciato il Cagliari: “Non mi sento più utile”. Anche in questo caso (niente di personale nei confronti dei tifosi del mitico Casteddu, vale per tutti i casi), emerge una grande inconsistenza. Provare per credere (ma non c’è neanche bisogno di verificare), sui social dedicati allo sfortunato Cagliari che, ad ora, non riesce a tirarsi fuori dalla zona retrocessione, i commenti sul primo Zeman giravano più o meno attorno alla frase “Boemo sei un idiota, te ne devi andare tu e il tuo calcio folle”; successivamente, la parentesi (ahinoi fallimentare) del Magic Box Zola ero accompagnati da ripensamenti quali “Aridatece Zeman”, “Il colpevole non era lui”, “Giulini incompetente”; infine, il breve ritorno del Mister ritrovò posizioni polemiche relative ai suoi metodi e alla sua mentalità inetta.
È chiaro che occorre andare un po’ oltre la contingenza e l’istintività. Di fronte a scelte particolari, formali per quanto pesanti, come quella della remissione del proprio incarico in una squadra, non si possono fare elucubrazioni filosofiche, ma solo rimanere scontenti, delusi, contenti o felici, secondo il proprio tifo e l’inguaribile opinione tecnica di allenatore che caratterizza tutti noi.
Il Cagliari non vince da undici partite e le speranze di salvezza sono perdute. Zeman si è dimesso affermando di aver dato tutto se stesso, e che “ora è giusto che ognuno si prenda le sue responsabilità”; ha voluto dare una scossa alla squadra. Il lamento principale riguardava il fatto che i giocatori non lo seguivano, quindi appare ragionevole una reazione del genere. L’ambiente dello spogliatoio cagliaritano è evidentemente teso, si pensi all’irruzione degli ultras dei giorni scorsi che, scremando eventuali esagerazioni dei media (cui, anche in questo caso, non ha senso smontare aprioristicamente gridando al complotto), di certo non ha aiutato a distendere gli umori.
Un’altra fase dell’epopea zemaniana, quindi, finisce qui. Chi dice che sia sopravvalutato e che tanti abbiano fatto meglio di lui probabilmente ha ragione, ma è inutile ripeter loro per l’ennesima volta che la bravura di un allenatore non si vede soltanto dai trofei vinti, perché nel calcio sono pochi quelli che riescono ad alzare qualche trofeo. Ci sono tante altre occasioni in cui si può valutare tutto ciò, date dallo stile, dall’audacia e dall’umiltà. Quest’ultima qualità, dispiaceri a parte, si è manifestata nelle sue dimissioni, dove invece tanti altri avrebbero continuato a forzare la mano. Non ha senso ritenersi salvatori del mondo e quindi, dove non si riesce a fare del bene, è opportuno fare un passo indietro perché magari si è destinati a un’altra parte. Un altro prezioso insegnamento da uno “stupido” sport come il calcio.