Si può essere felici tra i vicoli di Bari Vecchia e tristi alle Maldive. Affamati al Sud e con gli occhi gonfi di lacrime in Paradiso. Con l’addio a Parma, sembra compiuto il destino di Antonio Cassano, il barese di Roma. Nonostante tutto.Giramondo perchè nessuno lo vuole. Indispensabile e sanguinario, orgoglio plebeo, semplice oltre ogni confine logico. Un vita (pallonara) sempre in bilico tra i fasti dei Cesari del pallone e una disperata Wille zur Macht caciarona che si trasforma in delirio macchiettistico da Gigi er bullo.
A tocchi a tocchi la campana sona: li turchi so’ arrivati alla marina. È sgattaiolato via, presagio funesto di quanto avverrà. Lui l’ha sentita la campana suonare. Tutti gli altri no. Suonava per il Parma. Era l’ultima, definitiva chiamata. Soldi non ne sono arrivati, basta insistere. Antonio Cassano ha lasciato e, con la moglie – la pallanotista genovese Carolina Marcialis – ha atteso invano una chiamata dal calcio che conta e poi se n’è andato in vacanza. Niente poco di meno che alle Maldive. Ma non è felice, si può essere tristi anche alle Maldive. Chiedete a lui.
Chi c’ha le scarpe rotte l’arisola, le mie l’ho arisolate stamatina.Era cominciato tutto un giorno, forse un giorno maledetto. Correva con un amico inseparabile tra i vicoli di Bari Vecchia. Antonio e il pallone, era fortissimo. I ragazzi più grandi – che quando si gioca in strada tendono a snobbare i piccoletti – se lo contendono. Bari Vecchia è patria di amore e odio, umanità e povertà. Non ha mai fatto mistero dell’indigenza vissuta in casa. Ma a Bari il calcio è religione e cultura. Eugenio Fascetti lo scova tra i primavera e lo lancia titolare in serie A. L’Italia impazzisce. È nata una stella, contro l’Inter. La “sua” Inter.
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Come te posso amà? Come te posso amà? Franco Sensi non scherza. Lo scudetto è stato un punto d’onore, una questione di puntiglio. Lasciare mai, raddoppiare sempre. Si gioca forte, in questi anni. I Matarrese si rifanno i bilanci con quei sanguinosi sessanta miliardi di lire pagati dalla Roma. Cassano, che sta diventando Fantantonio, finalmente assapora il calcio che conta. L’11 settembre del 2001 non lo ricorderà (solo) per l’attacco alle Torri Gemelle: esordisce in Champions addirittura contro il Real Madrid. Stringe amicizia con tanti, litiga con tutti. Prende a calci le bandierine, furioso e nervoso, capriccioso e delizioso. Un fuoriclasse con la testa altrove. Quando gli parte l’embolo diventa imprendibile. Non sono solo i difensori avversari a farne le spese. Gli arbitri ad esempio, lo sanno anche loro. Come Roberto Rosetti a cui incalzò di bovina allegoria, come direbbero Gaetano Maria Barbagli e i suoi arditi su Marte, facendogli in faccia il segno delle corna. Non è mai andato troppo d’accordo con nessuno. Ha fame, un appetito atavico. Nè pazienza nè autocontrollo. Come Tyson. Come chi s’è trovato dalla povertà alla ricchezza e ha il continuo terrore che qualcuno, prima o poi, lo venga a svegliare dal sogno. Così s’è giocato il Mondiale, e che mondiale: quello di Germania, nel 2006.
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Sì esco da ‘ste cancelle quarcheduno me l’ha da pagà. Con la Roma finisce male. Fabio Capello gli offre la chance della vita. Se lo porta al Real Madrid. Ma la gabbia galactica gli sta troppo stretta. In Spagna non ridono ai suoi scherzi. Capello non sopporta più la sua strabordante guasconeria. E lo sbatte in panchina. Lui gioca poco, male, ingrassa e si mette a flirtare (dice) con una quantità impressionante di donne. Un carcere dorato, ricco ma tutti lo prendono in giro. Anche in tv. La società lo spedisce in prestito gratuito a una squadra di mezza classifica in Italia. Pur di toglierselo da torno. Lui la prende male. E a Genova, con la maglia della Sampdoria, rinasce. Dal 2007 fino al 2011 scende in campo 96 volte, segna 35 gol e sforna assist in quantità industriale, fa esplodere il talento di Pazzini, esalta la squadra. Incontra la futura moglie e sembra aver messo la testa a posto. Le grandi del calcio lo vogliono e lo rimpiangono. Fino a che non si accapiglia con la buonanima di Riccardo Garrone. Intanto se lo è preso il Milan. È l’ultima chance di incidere nel calcio che conta.
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Il resto è storia di ieri, o quasi. La misteriosa malattia che lo blocca con i rossoneri, l’anno nerazzurro dell’Inter sabbatica di Andrea Stramaccioni, l’allontanamento d’imperio disposto da Walter Mazzarri e l’approdo a Parma alla corte di Tommaso Ghirardi che, in un paio d’anni, si trasforma. Era il “nuovo che avanza” nel calcio diventa l’uomo del fallimento del Parma. Adesso Fantantonio sta alle Maldive, si fa intervistare dai settimanali nazionalpopolari. Sente la mancanza del calcio e l’incombere della fine. Trentatrè anni, difficile rassegnarsi a dover smettere di giocare, a non leggere sul display dello smartphone i nomi “pesanti” della pedata italiana. Li aspetta perchè lui s’è sempre sentito come nella canzone: “E si de’ sfortunati stanno ar monno/ uno de quelli me posso chiamare/ butto ‘na paja a mare e me va a fonno,/ all’antri vedo er ferro galleggiare”.
Bari non l’ha dimenticato e ha cercato di riportarlo al San Nicola. Lo sa anche lui che, questa, è l’unica decisione in grado di garantirgli un’uscita di scena da leggenda. Ma proprio decidersi, una volta tanto, è il problema. Soprattutto ora, che la fine incombe.