Rimonta vincente, al Novara è andato il derby piemontese contro l’Alessandria: vittoria per 2-1 davanti al pubblico amico.
Ma poco importa che si sia trattato del big match del girone A della Lega Pro e che il Novara, che avrebbe voluto essere ripescato in serie B, sia visto da molti come la vera squadra da battere, forte del duo Felice Evacuo-Pablo Andrés González. Quello che conta è che le partite tra il Novara e l’Alessandria sono mai sfide normali e affondano le radici nella storia più bella e mitica del calcio italiano.
Il metodo di lavoro che George Arthur Smith, allievo di William Garbutt, applicò all’Alessandria presentava aspetti inediti per il calcio italiano dei primi decenni; introdusse allenamenti intensi e mirati, irrobustì il centrocampo arretrando due attaccanti per ispirare meglio la manovra offensiva ed insegnò un gioco corale basato su schemi e palla a terra.
L’opera di Smith, morto durante la Prima guerra mondiale, fu ripresa da Carlo Carcano (che la esportò alla Juventus e in Nazionale), dall’ungherese Béla Révés, dal viennese Karl Stürmer e da Umberto Dadone, e garantì alla giovane società diversi decenni di militanza ad alti livelli facendo affidamento su elementi provenienti quasi esclusivamente dal vivaio.
Alessandria, la cui scuola calcistica sfornò autentici campioni come Adolfo Baloncieri, Luigi Bertolini, Giovanni Ferrari e Gianni Rivera, tanto per citarne alcuni, andò così a comporre il “quarto lato” di quello che la Gazzetta dello Sport in un’inchiesta del 1914 definì il “quadrilatero delle università del foot-ball”, completato da Vercelli (sette scudetti vinti), Novara (vi giocò anche Silvio Piola) e Casale Monferrato (il primo club italiano a battere un sodalizio inglese, il Reading nel 1913, e scudettato nel 1914), tutte città dove l’”autodidattica calcistica” aveva avuto come inaspettato risultato una “sicura marcia ascensionale di unità che fino a ieri erano confinate in una categoria inferiore”, contro cui nulla potevano “il rinnovarsi e l’intensificarsi della forza degli squadroni maggiori”.
Il giornale notava che una realtà di provincia poteva attuare “una sorveglianza diretta della sua squadra”, e che il giovane calciatore “nella piccola cerchia della vita cittadina che si alimenta delle nuove tradizioni sportive e le difende ad oltranza”, lontano dalla “tumultuosa e pericolosa vita scapigliata”, era pressoché obbligato “a spendere le ore di svago e di riposo nei quotidiani esercizi di allenamento”.
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Gianni Brera, maestro di giornalismo, descrisse così le radici storiche delle sfide del quadrilatero: “Vercelli e Casale fanno parte del cosiddetto quadrilatero pedatorio piemontese, che comprende anche Novara ed Alessandria. La regione è di ethos composito… Per quando si riferisce al nerbo e alla bellezza (in senso morfologico) siamo al miglior livello italiano, ma non stupisce che il calcio tecnicamente più valido si giochi ad Alessandria, dove l’ibridazione etnica è più recente, e anche a occhio nudo è possibile rilevare una maggior aitanza della gente comune. Per essere composito, l’etnos del quadrilatero giustifica avversioni municipali che la dicono lunga sul carattere di questi padani. Il calcio offre magnifici pretesti a faide collettive e ricorrenti. Scendere sul campo di questa o di quella città significa essere pronti a qualsiasi conseguenza, non escluso il ricovero in ospedale”.