Se è vero che i gol sono quello che rimane quando le partite finiscono e che dietro quei gol ci sono dei calciatori: volti e nazionalità, il campionato italiano è colonizzato dagli argentini. Un quartetto tutto albiceleste guida la classifica dei cannonieri: Carlos Tevez in testa, e dietro: Gonzalo Higuain, Mauro Icardi e Paulo Dybala. Il primo italiano è il “vecchio” Antonio Di Natale, ormai una certezza come l’aspirina e il mese di ottobre; tra i nuovi Simone Zaza e Manolo Gabbiadini, che si fanno largo tra Stefano Mauri, Alessandro Matri e il solito Luca Toni. E la settimana scorsa eravamo tutti a guardare arrampicarsi in aria il non giovane – nonostante gergo e gesti: selfie – Francesco Totti. A contare i gol si vede il futuro, e va bene che Tevez e Higuain sono due calciatori che sapevamo lanciati a porta e affamati di vittorie e trofei, dotati di precisione architettonica e diligente talento; di Mauro Icardi si era parlato più per le azioni che svolgeva in camera da letto che in area di rigore, poi si è tranquillizzato ed ha preso a tormentare – con tetragonale cattiveria – le difese, lasciando in pace il povero Maxi López.
Di Paulo Dybala tutti ricordano la presentazione di Gattuso con quell’aria sempre precaria che ha quando parla, a dispetto delle certezze che dava in mezzo al campo quando giocava, e nessuno lo aveva preso sul serio. Ma i gol sono la misura di tutto per gli attaccanti, e questi disegnano una carenza italiana. C’è chi immagina che alcune nazionali nascano dal brodo stellare costruito a forza di gol, scintille terrestri, a volte erbacee, che inducono i commissari tecnici a rimodulare tattiche e aspettative. L’attaccante diventa il tassello centrale nel puzzle nazionale, e a leggere questa classifica il povero Antonio Conte non potrà che esclamare: «è agghiacciante». E costretto a una diagonale difensiva in apnea, che lo vede ri-fare il giro delle squadre e degli allenatori come un commesso viaggiatore per rispiegare l’importanza di metterla in porta.
E se non si possono nazionalizzare i ragazzini stranieri, si potrà almeno spronare quelli italiani «a fare di più» come cantava il trio d’attacco Morandi-Tozzi-Ruggeri che se non vinse la Champions almeno portò a casa un Sanremo. Oppure chiamare gli argentini con la scusa di volersi sportivamente complimentare per le prestazioni e il numero di gol e usare il “metodo Pedernera”, da Adolfo Pedernera: argentino, claro. Si racconta – non è detto che sia vero ma torna utile alla causa – che il vecchio dignitosissimo Pedernera, tra i migliori calciatori sudamericani, incrociando il giovane e già marziano Alfredo Di Stefano, e davanti alla sua manifesta esuberanza, anche se Ibrahimovich avrebbe detto supremacy, dopo un gran gol del ragazzo, l’avesse raggiunto a centrocampo, toccandogli la spalla per farselo apparire di fronte, e, vincendo la stanchezza prima ancora della rabbia, gli avesse detto: «Ragazzo, di questo gioco campiamo tutti: vedi di darti una regolata».