Se il Candomblé servisse a vincere le partite, il Bahia sarebbe campione ogni anno.
(proverbio nazional-pallonaro brasiliano)
La scaletta di un aereo, un’inchiesta parlamentare e un mago di Benevento che giura: “Quella è una fattura”. Un Pallone d’Oro, la Decima appena alzata al cielo e la marcatura stretta di uno stregone ghanese. Luiz Nazario da Lima, alias Ronaldo e – sedici anni dopo – Cristiano Ronaldo dos Santos Aveiro, aka Cr7. La magia (nera) del calcio esplode ai Mondiali ma permea di sè ogni benedetta partita che si giochi sull’orbe terracqueo.
Tra Africa e Brasile corre l’Oceano Atlantico. Culturalmente, è poco più di un ruscello, però. I riti ancestrali animisti della costa occidentale del Continente Nero si sono conservati, trasformati, sublimati in qualche secolo di sincretismo nel vudù, nella Santeria, nel candomblè temutissimo e rispettato tra Sudamerica, Antille e Caraibi. Ogni aspetto della vita, grazie all’intercessione degli dei e alla manipolazione magica degli stregoni, può essere cambiato. Incantesimi, scongiuri, fatture, fascinature, malocchi, legamenti. Ce n’è un campionario più vasto delle finte di Diego Armando Maradona. E come la classe del Pibe de Oro, se ne va alla conquista del mondo.
La tradizione “magica” della cultura brasiliana è notissima, ormai tutti sanno cosa sia una macumba e l’immagine dell’ossessa invasata da qualche potenza infera o superna che infilza spilloni in una bambolina stilizzata è qualcosa che appartiene alla cultura di massa, anche la nostra. In pochi sanno, però, che c’è stato chi in Brasile si è affidato alla magia per vincere i campionati. La storia del Nautico degli anni ’60 racconta di una squadra che, per il tramite di un suo calciatore, tale Bita, ottenne i favori di Pai Edu sacerdote potentissimo esperto nelle arti oscure del candomblé. Per quattro anni di fila gli alvirubros vinceranno il campionato pernambucano fino a che, in uno slancio di tronfia superbia (la leggenda, però, vuole che siano state delle suore a mettersi di mezzo), la società decise di interrompere ogni rito a base di cachaça e tamburi. Mal gliene incolse, la squadra incappò in una serie di tremende figuracce che costrinsero i dirigenti a “re-ingaggiare” Pai Edu. A cui venne promesso, in pagamento, un toro. Gli diedero un bue castrato e il santone maledisse la squadra che, dopo sei campionati vinti di fila, non ingranerà mai più un filotto di vittorie convincenti. Fino al 1999 quando la società onorò finalmente il suo debito con Pai Edu, aggiungendo al toro promesso anche quattro capre e otto galline.
In Italia, invece, si vive di superstizioni. Di riti simpatici e che, di oscuro, hanno ben poco. Il Trap, per esempio, si affida alle forze del Bene con l’acquasanta dell’arcinota sorella monaca. Ma la magia ha abitato anche qui da noi Le memorie di Lucianone Moggi, invece, ci portano alla Torino granata degli anni ’80. Era presidente del Toro Sergio Rossi che pendeva, letteralmente, dalle labbra del pittore sensitivo Luciano Proverbio. Il quale – come racconta l’ex mammasantissima della Juventus ne “Il Pallone lo porto io” – spesso e volentieri azzeccava le sue previsioni. Accanto all’amico medium, Rossi aveva la strana abitudine di ingaggiare maghi e stregoni per propiziare gli Dei del calcio alle sorti dei granata. E quando Moggi vide l’ennesimo fattucchiere impegnato a versar sangue di bue sul palo di una delle porte del “Comunale” lo fece cacciare in malo modo da uno degli inservienti dello stadio “Altrimenti vado lì e lo prendo a calci”.
Più o meno negli stessi anni c’era un Barone che non faceva una mossa senza prima accertarsi della condiscendenza degli astri. Niels Liedholm e il mago di Busto Arsizio rappresentano una delle pagine iconografiche di un calcio, quello di allora, estremamente fedele della cultura dell’epoca: ostentatamente progressista, ai limiti dello scientismo fidente solo nelle magnifiche sorti e progressive ma con l’occhio fisso, fermo e attento solo all’oroscopo.
C’è però un posto, nel mondo, in cui la magia del calcio non è per forza in una rovesciata e non abita sui rettangoli riarsi dal Sol dell’Equatore. E’ l’Africa, misteriosa, lussureggiante dove gli stregoni lucidano di sudore la loro pelle d’ebano, pregando terribili divinità millenarie, per propiziare la squadra giusta. Un antropologo olandese, Arnold Ponnenborg, qualche anno fa ha condotto un’inchiesta sulle connessioni tra pallone e animismo e i cui risultati, pubblicati in “How to win a football match in Camerun” sono impressionanti.. Così come il cristianesimo finì per “assorbire” molti persistenti riti pagani attualizzandoli alla luce del messaggio di Cristo, la magia africana è riuscita ad aggiornare il suo pantheon trasformando una delle maggiori divinità, la Mamma dell’Acqua (Mami Wata, in pidgin english, figura molto simile alle Sirene di memoria omerica), nella protettrice dei portieri. Grazie al suo intervento divino, dicono i witch doctors, il pallone non supera mai la linea di porta.
In Africa, poi, la commistione tra sportivi e stregoni è estremamente delicata. Si tratta di piani che non si incontrano mai e che perciò possono sovrapporsi senza incrociarsi. Ma, quando accade, la notizia fa clamore. Come accade nel 2002 quando venne arrestato il mitico Thomas N’Kono, l’eroico portiere del Camerun delle meraviglie di Italia ’90 che (magia nella magia) stregò con le sue prodezze un ragazzino di Carrara che, dopo averlo visto in tv, smise per sempre di fare il centravanti e si accomodò in porta: Gianluigi Buffon. N’Kono, che allora era il viceallenatore proprio del Camerun, si trovò in manette perchè accusato di voler sotterrare, nei pressi della porta avversaria, uno juju, un feticcio destinato a far trionfare i Leoni Indomabili nella semifinale di Coppa d’Africa contro il Mali.
Qualche anno dopo, la magia africana contribuisce a salvare il Fulham dalla retrocessione che, a fine girone d’andata, sembrava ormai inevitabile. A Craven Cottage gioca da qualche tempo Papa Bouba Diop, colonna del Senegal dello stregone bianco Bruno Metsu che ha fatto tremare, ai mondiali 2002, il calcio planetario. Dopo un primo tentativo andato a vuoto, Diop si ripete. Stavolta con successo. Il 2005 diventa l’anno dei Cottagers che vanno di vittoria in vittoria, riuscendo così a restare in Premier grazie alle divinità vudù.
La connessione tra calcio e magia, in Africa, è diventata così forte che per anni ogni nazionale – accanto a staff tecnico e sanitario – vantava un “consigliere spirituale” deputato a propiziare gli Dei alla causa della squadra. Le Federazioni, però, hanno cominciato a non veder più di buon occhio queste pratiche da quando i media europei hanno iniziato a compiere reportages proprio su questo tema. Che, secondo i mammasantissima della Federazione continentale, finivano per svilire il football africano relegandolo – come al solito – a espressione esotica e poco credibile della pedata. Provvedimenti pesanti sono stati presi proprio in Senegal: il Palazzo del Calcio senegalese ha vietato il maraboutage, ossia il ricorso alle arti oscure nel calcio.
Le stregonerie, però, non sono sempre utilizzate a fin di bene. Anzi. Spesso “azzoppare” il migliore degli avversari è l’obiettivo dichiarato dei marabout, dei waganga o dei witch doctors. A Brasile 2014, lo Stregone del Mercoledì dichiarò alla stampa di tutto il mondo che da mesi stava lavorando per fermare Cristiano Ronaldo. Aveva già sistemato il tedesco Marco Reus, stella mancata del mondiale della Mannschaft. Il cui mondiale, insieme a quello di tutti i suoi compagni del Portogallo, è stato al limite del disastroso.
Di malefici si parlò anche all’indomani della finale di Francia ’98, quando i Blues alzarono al cielo la prima Coppa del Mondo della loro lunghissima storia calcistica. In quell’occasione Ronaldo, allora 21enne, sembrava un fantasma. Al ritorno della Seleçao, in patria, la sua incespicante discesa dalla scaletta dell’aereo fece preoccupare il mondo pallonaro e non solo. Fu allora che esplosero tutte le congetture e che un mago di Benevento giurò all’Adn Kronos di conoscere cosa era accaduto al Fenomeno: “”E’ possibile che qualche macumbeiro brasiliano che vive in Francia si sia prestato, per denaro, a ‘tradire’ i suoi connazionali. Con i risultati che abbiamo visto”.