Il reiterato, ostinato, ossessivo, sprezzante “no” che Pierluigi Bersani e i maggiorenti del suo partito oppongono a un governo allargato di responsabilità nazionale – allargato, ovviamente, al Pdl – dimostra quanto, nel severo funzionario di Bettola, sia profondamente radicato il principio mortale delle “due Italie”, la convinzione antropologica di un’Italia divisa simmetricamente tra “buoni” e “cattivi”. Questo schema è figlio della costruzione ideologico-accademica del mito della Resistenza, allorquando – pur di non accettare una sincera e coraggiosa rilettura del maggioritario consenso fascista – si decise di tracciare una semplicistica linea rossa che dividesse un’Italia corrotta, autoritaria e cialtrona da un’altra Italia onesta, democratica e concreta.
Purtroppo siamo ancora fermi a questo schema, e guai se si prova a far notare che questo manicheismo non ha mai retto alla prova dei fatti, non fosse altro perché il Pd rappresenta interessi, conservatorismi sindacali, corporazioni, poteri locali, bancari e cooperativi non sempre limpidi e “democratici”, e perché – della triste stagione ideologica – non ha mai dismesso abiti consolatori e falsi come l’arrogante certezza di una superiorità e diversità morale.
Pur di non riconoscere l’altra parte infetta della società italiana, Bersani preferisce governare con un movimento fondato su culto della personalità, su ignoranza governativa, su avventurismo istituzionale e sulla volgarità comunicativa. La stessa cosa accadde a suo tempo con la Lega Nord, che più di un leader del Pds lesse come fenomeno politico di derivazione comunista – lettura falsa e tendenziosa che non resse alla prova dei fatti.
Un grande Paese come l’Italia, che rischia il baratro economico e politico, non può più permettersi questo facile giochetto delle “due Italie”, questo tentativo di schematizzare la società italiana in “buoni” e “cattivi”, perché sarebbe l’anticamera del caos e, probabilmente, di una guerra civile che potrebbe esplodere con strumenti inediti, conformi al nuovo contesto sociale frantumato e spappolato. Berlusconi ha tanti difetti e ha fatto tanti errori, ma non si è mai visto nessun Presidente del Consiglio democraticamente eletto ricevere così tanti insulti, offese, processi, invettive, anatemi senza che nessuno si alzasse almeno per dire: “Giù le mani dal principale uomo di governo della democrazia italiana”. L’unico ad averlo fatto, qualche giorno fa, è stato il Presidente Giorgio Napolitano, che sta dimostrando in quest’ultimo tratto del suo settennato una serietà davvero notevole.
Siccome il quadro politico sta entrando in un marasma parossistico di difficile gestione, non sarebbe stato negativo per le sorti del nostro Paese provare a fare sintesi tra le posizioni di due grandi movimenti popolari come il Pd e il Pdl, magari per arginare e interpretare, con un sussulto di generosità e di verità politica, la giusta rabbia che è emersa dalle urne, ma che rischia derive incontrollabili, benché nessuno dovrà mai compiere l’errore (per esempio a proposito di Grillo) di leggere qualsivoglia esito elettorale in senso antidemocratico, perché fin quando le forze politiche accetteranno queste leggi e queste regole – tra cui le elezioni democratiche – vorrà dire che ne condividono lo spirito, la forma e il contenuto. Bersani, invece, sta trasformando il suo avanzamento verso il Movimento5Stelle come fosse una resa dei conti a sinistra, tra anime comuniste in cerca di un punto di sintesi e di ricomposizione storica.
Grillo, al contrario, ha fondato un movimento post-ideologico a tratti finanche conservatore, pasoliniano, latouchiano, coraggiosamente in bilico tra posizioni iper-moderne (sulla tecnologia) e posizioni iper-tradizionaliste (per esempio sul “ritorno alla terra”), totalmente distante, però, dall’idea post-comunista dello Stato come unico motore (etico) dell’economia e dei processi sociali e comportamentali (non a caso lotta contro le degenerazioni dello statalismo: debito pubblico, sindacalizzazione, controllo fiscale poliziesco, spesa eccessiva del funzionamento dello Stato, ecc.). In questo senso, non sbaglia chi sostiene che una convergenza contenutistica sia molto più fattibile tra il Pdl liberale e Grillo che non tra questi e il Pd.
Bersani, invece, con atteggiamento accigliato e punitivo continua a sostenere lo schema dell’Italia giusta, dell’Italia “buona” figlia della Resistenza, dimostrando di essere schiavo e vittima dei fantasmi di Botteghe oscure. Perché il Pdl, dal suo punto di vista, è frutto avvelenato dell’altra Italia: quella corrotta, quella antidemocratica, quella ignorante, votata scandalosamente da milioni di “coglioni” che guardano la televisione e non leggono libri. Ecco perché è fallimentare e offensivo il suo “no” alle proposte di collaborazione che gli vengono offerte dal Pdl per senso di responsabilità: perché non si fondano sul merito e sul bene del Paese, ma sulla vecchia convinzione che quelli del Pdl sono “appestati”.
Ma gli italiani hanno dimostrato con il voto che non esiste nessuna Italia migliore, nessuna Italia che possa dichiararsi moralmente superiore e dunque più “giusta”. E perciò affrontare questa crisi alla vigilia della formazione del nuovo governo con la vecchia linea berlingueriana della superiorità morale porterà dritto Bersani verso lo stallo, anticamera della sua resa politica e dunque del suo definitivo tramonto. Mi auguro che il Colle e i tanti veri riformisti del suo partito sapranno riportare il calendario del Pd lontano dai livori e dagli autismi degli anni ’70.