Tre mesi passano in fretta, Viperetta non mollare. Il tribunale federale ha deciso di stangare il presidente della Sampdoria Massimo Ferrero perché, a quanto pare, dare del “filippino” a qualcuno sarebbe un insulto. E grave, per giunta, dato che a Ferrero hanno affibbiato, oltre all’inibizione di tre mesi, anche due multe: una personale, sui 10mila euro, e un’altra alla società, 35mila euro. In tutto, 45mila euro. Roba da matti.
La libertà inizia dall’ironia. Lo diceva tale Victor Hugo che, ricordiamocelo a beneficio dei parrucconi eccellentissimi della Santissima Inquisizione del politicamente corretto applicato allo sport, non era l’ala destra dell’Olympique Marsiglia ma uno dei più grandi scrittori francesi ed europei. Ferrero si era arrabbiato tantissimo dopo aver saputo che Erick Thohir aveva liquidato in malo modo Massimo Moratti. “Glielo avevo detto di cacciarlo via quel filippino…che l’ha chiamato a fà?!?”. E dato che il presentatore tv Rai gli faceva notare come Thohir non fosse di Manila, Ferrero ha replicato: “E’ venuto dall’Indonesia per insultare un emblema del calcio italiano?”.
Il vero peccato che er Viperetta ha da scontare secondo i giudici del bon ton pallonaro è quello che agli occhi nostri lo fa rifulgere di una bellezza ribelle: s’è permesso di sfottere lo Straniero che Viene ad Investire Capitali nel Nostro Paese. Ferrero s’è concesso il lusso di spernacchiare il Magnate che a suon di cambiali – a babbo morto – vorrebbe dar lezioni di calcio a Massimo Moratti che, comunque la si pensi su di lui, s’è svenato pur di far brillare la stella dell’Inter. Sfottendo Thohir, er Viperetta ha sfottuto il sistema Italia. Ha ferocemente uccellato – chissà quanto consapevolmente – la tendenza italiota a chinarsi, prona e deferente come l’impiegato della Megaditta di Fantozzi, davanti al forestiero. Meglio ancora se ricco e cattivo. E si è perciò attirato l’ira della Figc che per coprire le uscite disastrose del coppoluto Carlo Tavecchio s’inventa adesso il reato di “filippinità”, “filippinismo”. Per restar nei cavilli tanto cari ai manovratori del pallone, Ferrero non l’ha chiamato né servo, né colf, né stiratore di capi d’abbigliamento. L’ha solo confuso per un abitante di Manila. Non ha parlato mica di banane, come qualcun altro. Ha solo lasciato intendere che Thohir non è mica il Messia e che certi lussi, lui, non se li può proprio permettere. Ed è giustissimo, i fatti non mentono. La prima Inter “tutta” indonesiana è, finora, un bidone che manco un esercito di incazzatissimi bokor haitiani riuscirebbe a risvegliare dal torpore. Figuriamoci il patinato (e tragicamente solo) Roberto Mancini.
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La Sampdoria di Ferrero invece corre e fa paura a tutti. Manco la Juve è riuscita a domarla. Er Viperetta è simpatico, ci prova con la D’Amico, esulta come un forsennato, si presenta allo stadio con le pashmine blucerchiate in testa, ha la capacità di prendersi in giro. Cosa, quest’ultima, che nessuno riesce nemmeno a pensare nel mondo dei filosofi del calcio, della finanza applicata al pallone e della trastola a tutti i costi, merlettata – per la gioia del palloso Platini – con barbosissime pseudo-lezioni d’amore universale che manco il Dalai Lama dopo una conferenza con Obama. Tre mesi passano in fretta, il “Daspo” federale passerà. Viperetta, non mollare.