Qualunque persona conoscerà quella massima che dice “dalle stelle alle stalle” per descrivere la rapida discesa agli inferi di chi sembrava aver svoltato per il meglio la sua vita. È questo il caso, che coinvolge due ex protagonisti del nostro campionato e dell’Inter, la cui sola presenza in campo faceva tremare i polsi ai tifosi che se li ritrovavano a giocare contro la propria squadra: Andreas Brehme e Ivan Zamorano. Entrambi con un passato nerazzurro, entrambi finiti nei guai di natura economica e non per aver scialacquato il proprio patrimonio in alcool, bische e droga come successo a molti altri ex calciatori, ma per un fato un po’ capriccioso.
Andy Brehme. Classe ’60, tedesco di Amburgo, è stato probabilmente uno tra i più forti terzini sinistri della storia del calcio – ma se la cavava egregiamente anche sulla fascia destra –fu uno tra i protagonisti nell’Inter dei record di Trapattoni che vinse il campionato nel 1988-89 e la Coppa Uefa nel 1990-91 nella finale tutta italiana contro la Roma (lontani ricordi per il nostro calcio, ormai) insieme ai suoi connazionali Matthäus e Klinsmann. Sicuramente il più forte terzino sinistro che abbia mai vestito la maglia nerazzurra, insieme ad un’altra leggenda come Giacinto Facchetti. Passò alla storia non solo per aver segnato il rigore decisivo nella finale del Mondiale ’90 a Roma contro l’Argentina di Maradona, che diede la terza stella alla Germania, ma anche perché lo calciò (e segnò) con il piede destro, pur essendo mancino. Adesso quel giocatore che regalò la coppa del Mondo alla Germania, quel fantastico terzino, è finito sul lastrico. La notizia, diffusa dall’emittente “Deutsche Welle”, parla di Brehme rovinato dai debiti che ammonterebbero a 200.000 €, e in più rischia seriamente di perdere la casa su cui grava un’ipoteca pari al doppio delle perdite accumulato.
Ma come è stato possibile? Diciamo che la sua carriera post-calcistica non è stata prestigiosa come quella dei tempi in cui calcava i prati verdi. Una volta appesi gli scarpini al chiodo, gli fu affidato il timone della sua ultima squadra da calciatore, il Kaiserslautern, con cui aveva vinto la Bundesliga. Era il 2000. A dirla tutta in campo non andò così male, concludendo con un 7° e 8° posto, ma furono i guai economici a schiacciare il K’lautern. I lavori di ristrutturazione del Fritz-Walter Stadion in vista dei mondiali del 2006 portarono il club sull’orlo della bancarotta. Così molti salparono da lì, e tra questi Brehme. Ma non ricevette nessuna chiamata fino al 2004, quando accettò l’offerta dell’Unterhaching, serie C tedesca. Esperienza da dimenticare, come pure quella da vice-allenatore di Trapattoni allo Stoccarda, nel 2006. Da allora, nessun impiego stabile, e nel mondo del calcio è facilissimo finire nel dimenticatoio anche se hai regalato una coppa del Mondo alla tua Nazione. Quando i debiti si accumulano, poi, diventa tutto più complicato.
Ha provato a tendergli una mano Franz Beckenbauer, il Kaiser, suo allenatore ai tempi della Germania campione del Mondo del ’90 : “Tutti noi abbiamo la responsabilità di venire in aiuto di Andreas. Ha dato tanto al calcio tedesco e grazie a un suo gol abbiamo vinto la nostra terza Coppa del Mondo. Il calcio teutonico deve ora restituirgli quello che ci ha dato”. Per ora solo Oliver Straube, ex calciatore di Amburgo e Norimberga, gli ha teso una mano, proponendo a Brehme di assumerlo nella sua impresa di pulizie di bagni e sanitari, “così si renderà conto cosa significhi il vero lavoro e la vera vita, e sicuramente gli servirà per migliorare la sua immagine”. La palla adesso passa a Brehme, che dovrà anche affrontare un processo a dicembre.
Ivan Zamorano. Destino diverso, ma per molti versi simile, quello di Bam Bam Zamorano, sull’orlo della bancarotta. Il 47 enne ex attaccante cileno, soprannominato “il pidocchio” tra i banchi di scuola per via la sua mole fisica piccola e gracile, nel 2003 ha chiuso la carriera nella sua squadra del cuore, il Colo Colo, dopo aver iniziato nel Cobresal. Arrivò in Europa nell’88 al San Gallo, in Svizzera, non prima di essere scartato da un poco lungimirante Bologna che lo scartò ad un provino. Dalla Svizzera in poi fu un escalation : prima il Siviglia, poi quattro anni al Real Madrid in cui vinse Liga, Coppa e Supercoppa di Spagna e il titolo di pichichi, il vincitore della classifica marcatori. Nel 1996, per 4 miliardi delle vecchie lire, il trasferimento a Milano, sponda nerazzurra. A San Siro ci rimase per 5 anni, dando anima e corpo alla causa interista e gonfiando la rete 41 volte in 149 partite, tra cui uno dei 3 gol che diedero la coppa Uefa all’Inter di Gigi Simoni nella finale di Parigi contro la Lazio, poche settimane dopo quella famosa partita-scontro diretto con la Juve a Torino, quando fu negato un rigore a Ronaldo per fallo di Juliano. Proprio a quel Ronaldo, pagato 64 miliardi, fu costretto a cedere la numero 9 per questioni di sponsor, riuscendo però nell’impresa di creare la leggenda della “mitica”, quel 18 a cui aggiunse un + tra le due cifre per ribadire che il suo non era un 18 ma un “1 + 8”, quindi un nove, quello degli attaccanti veri, di razza, non dei panchinari. E la “mitica” se la ricordano ancora tutti, interisti e non. Così come ci si ricorda di lui per aver riportato, insieme a Marcelo Salas, il Cile ai mondiali dopo 16 anni.
Ora Bam Bam è nei guai. Tre istituti bancari cileni vantano con lui un credito di quasi 3 milioni di euro per via delle sue 8 attività nel ramo dell’edilizia e del marketing, tre delle quali intestate a lui e le restanti a suo cognato. Che si aggiungono alla multa di 180 mila dollari che dal 2011 deve pagare alla Camera di commercio di Santiago per mancati adempimenti contrattuali. Così è comparsa anche la minaccia, per ora scongiurata, del pignoramento di tutti i beni che possiede in patria, che lo ha costretto a vendere tutti gli immobili acquistati dalle sue società, tra cui appartamenti di lusso, uffici e svariate attività commerciali, coprendo solo una parte del debito. A quanto pare, alla base del crack nessuna avidità o voglia di fare il furbetto, ma solo un bel po’ di sfortuna e poca capacità gestionale. Diversamente da come gestisce il suo centro sportivo, la Ciudad Deportiva ispirata a Coverciano, alla Pinetina, Milanello e quella del Real, con campi di calcio e calcetto, palestre, un centro medico e un centro studi per discipline sportive, per la quale ha una dedizione quasi totale. Dichiara di aver compreso i suoi errori e di non volersi arrendere proprio come quando era in campo, e chissà se la vendita parziale delle sue proprietà non serva a dargli un po’ di ossigeno.
Gli altri. Brehme e Zamorano non sono gli unici campioni ad essere finiti in ginocchio, una volta appesi gli scarpini al chiodo. Il più celebre è sicuramente Garrincha, l’angelo dalle gambe storte che fu la vera anima del Brasile campione del Mondo in Svezia nel ’58 e nel ’62 in Cile. Chiamato anche alegria do povo (l’allegria del popolo) finì in miseria rovinato dalle sue passioni per donne e alcolici, morendo di cirrosi epatica e poverissimo. Ed un altro ex interista celebre, István Nyers, il quarto marcatore di sempre della storia nerazzurra, che morì anche lui in piena povertà nella sua Subotica, in Ungheria. Ma anche qualche nome meno noto, come Maurizio Schillaci, cugino del più famoso Totò. Da promessa, forse più forte del cugino, finì prima ai margini del mondo del calcio e poi nella spirale dell’eroina, e ora vive per strada a Palermo. O Jorge Cadete,portoghese passato a Brescia nel ’94 e finito a vendere macchinette per il caffè porta a porta, dopo aver cercato di sbarcare il lunario. Tutti affetti dalla sindrome “post- carriera”, quell’ombra che molto spesso inghiotte chi non è così forte da superare l’idea che i riflettori del campo da gioco si siano spenti.