Il sorteggio si potrebbe fare a febbraio, in qualche posto chic, tipo Costa Azzurra. E la finale farla ruotare tra quelle tre-quattro città d’Europa in cui gli dei del calcio vanno a svernare in un lungo inverno dove solo chi ha soldi e prestigio se ne sta al calduccio. A guardare classifiche, gironi e primi verdetti della Champions 2014-15 il baratro tra ricchi e alieni da una parte, e il resto degli umani dall’altra, sembra sempre più evidente. E allora perché non organizzare una coppa dei Campioni ristretta, tipo master di Shangai per racchette e tacchetti milionari, facendola partire direttamente dai quarti di finale?
La Roma si è tolta lo sfizio di perdere dignitosamente in Baviera, dopo la scoppola di quindici giorni fa. E già pensare che per la squadra che forse gioca il miglior calcio d’Italia perdere per 2-0 sia un buon risultato dà la misura della crisi del calcio. Che non è un problema del pallone nostrano, quanto una sperequazione sempre più evidente tra chi ha i soldi e chi no, tra chi può investire cifre da capogiro per comprare i migliori e chi deve accontentarsi di riciclare qualche ex campione o tirare fuori dal cilindro un ragazzotto di belle speranze da svezzare. Per poi, ovviamente, mandarlo a giocare in un club più ricco.
A due giornate dalla conclusione dei gironi, gli ottavi sono già blindati per Real Madrid, Barcellona, Bayern Monaco, Borussia, Psg e Porto. Manca il Chelsea – che è comunque primo con tre punti sulla seconda – e il gotha del calcio europeo può mandare anche la squadra primavera a giocare le ultime due gare. La coppa con le orecchie è roba per pochi eletti che possono ascoltare il fruscio di petrodollari, o che hanno visto crescere modelli societari coltivati con pazienza ma comunque innaffiati con dosi massicce di denaro. Per carità non tutta la pecunia non olet. Dalle parti di Manchester la puzza si sente forte. Un olezzo di partenze disastrose per le metà di quel cielo grigio di industrie passate. E certo agli emiri non manca sterco del demonio mentre allo United è arrivata una vaganata di quasi un miliardo di euro dal contratto con il nuovo sponsor Adidas.
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In Spagna tutto procede come al solito: al Barça non hanno dimenticato di essere la squadra che almeno per un lustro ha lustrato il calcio come pochi. Semplicemente non sono più loro, gli alieni. Sono retrocessi a mutanti, ogni tanto scendono sulla terra e capita pure che il Celta di Vigo possa sorprenderli mentre contemplano il loro posto nell’empireo del calcio. Al Real sono metodici: vanno così rapidi e sono così tecnicamente è atleticamente superiori agli avversari che sembra di giocare a Fifa. Ma col joystic e una tivvù di quelle grandi. Poi c’è Monaco e il suo Bayern, la Mecca del calcio moderno in cui il pontefice che ha eretto ponti tra il tiki taka catalano e la concretezza e il coraggio teutonici ha un nome e cognome: Pep Guardiola. E poi c’è Parigi, e il Psg degli emiri. Non sono alieni ma sono così tanto ricchi da essere venuti in Italia a comprare alcuni dei migliori calciatori del nostro campionato con la stessa nonchalance con cui la casalinga di Vigevano va a fare la spesa al discount al sabato pomeriggio. Infine Mourinho e il Chelsea, che in fondo c’arrivano sempre.
Al di là della scaramanzia e delle sorprese che rendono straordinario il calcio, la sensazione è che ci vorranno ancora anni prima che un’italiana si affacci anche solo alle semifinali. E’ vero che Juve e Roma hanno buone chance di passare il turno. Ma che possano alzare la coppa, o arrivare anche solo in semificale, neanche il più ottimista dei tifosi lo pensa. Stesso discorso per le meteore più o meno blasonate del calcio europee. Eccezioni come l’Atletico Madrid dello scorso anno vanno invocate come la pioggia nel deserto. Altrimenti qualche buontempone ci penserà sul serio a restringere il campo e fare il mega-torneo per i ricchi, belli e buoni. E’ un dato di fatto: la supremazia economica è necessaria ma non sufficiente. Non basta a vincere, per fortuna, ma se non hai i soldi stai sicuro che nove volte su dieci non ti affacci nemmeno a vedere una finale. Altro che fair play finanziario: l’Europa del rigore vale solo a Bruxelles.